22. Il villaggio sul mare (seconda parte)

78 12 54
                                    

DUNCAN

Riordinare il vano di carico fu il pretesto di cui avevamo bisogno per calmare i nervi, dopo tutti quei pericoli. Poco a poco, l'atmosfera si rilassò, e cominciammo anche a ridere e scherzare dell'accaduto. La radio era inservibile, messa fuori uso da un corto circuito insieme al resto della strumentazione. Quando ci sembrò di non avere più niente da fare uscimmo e ci sedemmo sulla sabbia, per studiare le prossime mosse. Nonostante non potessimo vedere l'acqua da dove ci trovavamo, il rumore della risacca ci arrivava nitido. Qua e là qualche sparuto arbusto tentava di trovare sostentamento nella poca terra che vento e pioggia avevano mescolato alla sabbia.

Mi stavo saturando le orecchie dei suoni della natura, in attesa della prossima raffica di domande di Takoda, quando un movimento appena al di là di una duna attirò la mia attenzione.

Una creatura enorme emerse dall'orizzonte. Il corpo affusolato, nero e lucido, era sorretto da sei possenti zampe; il paio più prossimo al didietro della bestia era eccezionalmente lungo. Avanzava senza difficoltà in quel mare di sabbia, distribuendo il proprio peso che, di certo, non doveva essere trascurabile, considerando che l'essere era grande all'incirca la metà di un Fuco. 

C'era una storia che riguardava quegli animali nel libro di fiabe che mi leggeva sempre la nonna, e da bambino avevo sognato a lungo di possederne uno, ma era la prima volta che potevo vederlo dal vivo: si trattava di un grillo.

Seduto a gambe divaricate sul collo dell'animale, un essere umano lo conduceva, picchiettando di tanto in tanto con un bastoncino ora un fianco, ora l'altro.
Mentre lo osservavo, altri due fecero capolino dalla linea dell'orizzonte, trasportando ceste, sacchi e una dozzina di persone. I cavalieri possedevano i tratti tipici delle Idrometre: pelle ambrata, nasi grossi e piatti, indumenti scialbi simili tra loro.

Quando furono a portata di voce, l'uomo che sedeva da solo ci rivolse una cenno di saluto, sollevando il braccio piegato. «Abbiamo visto l'aereo precipitare.» esordì. «In quanti siete? Ci sono feriti? Avete bisogno di aiuto?»

In quel momento, studiando meglio i visitatori, compresi che quella carovana non si era trovata a passare di lì per caso, ma era stata allestita appositamente per noi. Dalle some si indovinavano funi, coperte, cibo, medicinali.
«La vostra generosa cortesia è molto apprezzata. Siamo solo noi due, e grazie al Polline stiamo bene!» risposi in modo un po' pomposo, come facevano le Idrometre dei film, le uniche che avessi mai visto. «Avete una radio?»
«Ma certo, al nostro villaggio. Salite, vi ci accompagno.»

Guardai la creatura che ruminava pacifica, ondeggiando pigramente le lunghe antenne. Al pensiero di cavalcarla mi sembrò di tornare piccolo, e il cuore prese a battermi forte. Non avemmo il tempo nemmeno di fare un passo, però, che il conduttore del secondo grillo apostrofò a gran voce il mio compagno di viaggio: «Takoda! Come sempre, sei latore di catastrofi!»

Lui lo ignorò e, quasi giustificandosi con me, spiegò: «questa è la tribù di origine di mia madre». Notai come, dicendo così, ne stesse prendendo le distanze.
«L'ultima volta sei scappato piagnucolando, e spergiurando che non saresti più tornato!» insistette lo sconosciuto. «Ora invece eccoti qui di nuovo, mogio e con le antenne basse come un cucciolo di...»
«Basta così!» sentenziò quello che ci aveva invitato a prendere posto dietro a lui. «Parleremo a casa: si sta facendo sera».

Nessuno osò obiettare altro e, in un silenzio surreale, salimmo in groppa alla bestia.

***

Appena superato il crinale, dalla groppa del grillo potei ammirare il mare per la prima volta. I raggi del sole morente tingevano l'acqua di sfumature cremisi, la spuma che ornava ogni onda come un cappello rifulgeva di riflessi dorati.

Il dominio delle Api [COMPLETO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora