DUNCAN
Il trillo della sveglia mi trovò già in piedi.
L'ansia per la giornata che mi attendeva mi aveva reso quasi impossibile dormire: avevo trascorso la maggior parte della notte fantasticando sul mio futuro, che mai come in quel momento mi era apparso tanto luminoso e promettente.
I sogni ad occhi aperti si erano alternati a quelli che mi affollavano la mente nei brevi periodi di sonno, finché, alle quattro del mattino, non mi era più stato possibile rimanere a letto.Spensi la suoneria, finendo al tempo stesso di abbottonare l'uniforme. Avevo bisogno di uscire: se fossi rimasto un solo minuto di più in quella minuscola stanza, sentivo che sarei impazzito.
Verificai ancora una volta l'equipaggiamento, quindi lasciai il mio alloggio.Erano le sei del mattino.
I corridoi silenziosi, su cui si affacciavano le numerose porte esagonali delle celle dei cadetti, erano ancora in leggera penombra: solo le azzurre luci di cortesia rischiaravano debolmente il pavimento, guidando i miei passi.
In ogni caso, io avrei potuto tranquillamente trovare la strada anche senza: fin troppe volte ero rientrato in ritardo da qualche licenza, sgattaiolando alle spalle degli istruttori che vegliavano sul dormitorio. Quasi senza che ne fossi consapevole, le gambe mi condussero all'aperto, su una delle grandi terrazze da cui era possibile dominare il mondo circostante.
L'aria primaverile era frizzante a quell'ora, ma in essa già si respirava la promessa di un clima più mite. Feci vagare pigramente lo sguardo, lasciando che il vento mi scompigliasse i capelli e portasse via con sé le mie preoccupazioni.
Sarebbe stata una giornata ideale per fare un po' di Airboard, pensai, immaginandomi mentre sfrecciavo tra le nuvole a folle velocità, sospeso sulla tavola a reazione.Sotto di me potevo scorgere l'Immensità, con gli enormi steli delle piante che ondeggiavano leggeri nella brezza mattutina. La sconfinata distesa d'erba si estendeva a perdita d'occhio: a Sud era delimitata dalla Foresta di Spine, un intricato groviglio di rovi troppo alto per poterlo sorvolare e troppo fitto per poter essere attraversato; a Est invece degradava dolcemente fin sulla riva del Mar Pozzanghera mentre, per quanto se ne sapeva, a Ovest continuava all'infinito. A Nord la vegetazione era tagliata dalla parete di roccia su cui sorgeva il nostro Alveare e, ancora più oltre, c'erano solo le Lande Rocciose, un vasto territorio pietroso, brullo e secco.
Anche se da quella distanza era impossibile distinguere delle persone, immaginavo che già a quell'ora i primi esploratori appartenenti alla tribù delle Formiche, nostra antagonista, stessero entrando in azione. Il Formicaio, la loro città, si ergeva quasi al confine dell'Immensità con la Foresta di Spine, ben oltre il mio campo visivo. Non avevo mai visto dal vivo la mastodontica costruzione, ma dalle foto sapevo che spiccava dalla vegetazione, come un sasso scagliato da un gigante. Il terreno di cui era circondata veniva mantenuto sempre sgombro da ogni pianta, sia per evitare che la giungla la inghiottisse, sia per facilitarne la difesa.
Sapevo che l'edificio aveva forma vagamente conica, e dall'alto la base irregolare dava l'impressione che pendesse leggermente da un lato.
In realtà la struttura era solida e gestita in maniera eccellente, pur non potendo vantare l'efficiente eleganza di ogni oggetto progettato dalle Api, il popolo a cui appartenevo.
Si ergeva per sedici piani, sfidando orgogliosamente le bufere che frequentemente sferzavano la prateria, ma tutti sapevamo che la parte sotterranea era molto, molto più grande.
Perfino la maggior parte delle Formiche stesse ignorava quanti fossero, in tutto, i piani sotterranei. Si diceva comunque che occupassero un'area molto più estesa di quella del Formicaio stesso.
STAI LEGGENDO
Il dominio delle Api [COMPLETO]
AdventureIl popolo delle Api e quello delle Formiche sono di nuovo ai ferri corti, e la più piccola scintilla rischia di far divampare l'ennesimo conflitto. Ma l'amore non conosce confini, e sboccia tra l'aspirante pilota dell'Alveare Duncan e l'anticonformi...