𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘦𝘴 𝘧𝘳𝘰𝘮 𝘢𝘯 𝘰𝘭𝘥 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘳𝘪𝘤𝘵 ; 𝘦𝘳𝘦𝘮𝘪𝘬𝘢

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Tipo: Soft
Missing moment, universo canonico

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Eren e Mikasa passeggiavano per le strade del distretto di Trost, nei pressi della loro residenza

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Eren e Mikasa passeggiavano per le strade del distretto di Trost, nei pressi della loro residenza. Era sera, le fiaccole appese alle mura degli edifici illuminavano il cammino e gettavano ombre sulle scale in pietra, sulle porte, sulle finestre.
I due ragazzi scendevano i gradini in silenzio, pensierosi. Era ormai stata fissata la data in cui sarebbero partiti per una spedizione a Marley: si sarebbero infiltrati per la prima volta in territorio nemico e avrebbero scoperto com'era realmente il mondo esterno. Le uniche informazioni su cui si erano basati in quegli anni provenivano da Yelena, dalla fazione Anti-marleyana, da Zeke Jaeger, gli Azumabito e i ricordi di Grisha.
"Abbiamo dei giorni di riposo adesso" constatò Eren sollevando lo sguardo verso il cielo notturno.
Ultimamente avevano lavorato ininterrottamente per la costruzione della ferrovia, soprattutto Mikasa che metteva a disposizione la sua forza decisamente fuori dal comune.
Lei annuì e lo imitò arrossendo un po'. Le era tornato in mente quando Eren aveva detto a lei e ai compagni che teneva a loro, che erano le persone più importanti per lui e che desiderava che vivessero vite lunghe e felici.
Poi, loro, si erano guardati negli occhi con le guance arrossate e Mikasa si era sentita pervadere dalla felicità.
"Sei distratta stasera" la richiamò Eren guardandola curioso. Mikasa si voltò verso di lui, incrociando il suo sguardo.
"Scusami, ero sovrappensiero."
"..."
"Eren, perché siamo qui?"
"Volevo solo camminare un po' con te" rispose Eren guardando di nuovo il cielo scuro. C'erano alcune nubi che coprivano le stelle. Eren si fermò in cima ad una gradinata in pietra.
"Eravamo qui la notte prima della battaglia per la riconquista del Wall Maria, ti ricordi? Eravamo assieme ad Armin, seduti su questi scalini. Parlavamo del futuro. Mi hai chiesto se dopo la battaglia di Trost saremmo potuti tornare a quei giorni tranquilli, in cui vivevamo insieme. Ti risposi che probabilmente quei giorni non sarebbero più tornati ed era per questo che volevo che i nostre nemici la pagassero. Te lo ricordi?"
Mikasa si sfiorò la sciarpa e fece un cenno.
"Sì".
Eren non rispose, scese lentamente i gradini e Mikasa sentì l'impulso di corrergli dietro. Ne scese qualcuno frettolosamente e abbracciò la sua schiena.
"Dove vai?"
"Da nessuna parte. È bello qui, vero? È romantico".
Mikasa sorrise più serena.
"Molto."
Sentiva l'odore dei capelli di Eren e la consistenza delle sue spalle. Gli diede un leggero bacio sulla tempia.
Eren sciolse con gentilezza le sua braccia e riprese a scendere i gradini.
"Vieni".
Lei lo seguì, fino a che non si fermarono sotto un arco in pietra isolato. Eren si guardò intorno, pensieroso.
"Ti va di fermarci a bere qualcosa in una locanda?" le domandò. Lei annuì con un cenno.
"Sì, perché no."
"Andiamo a Storie dal vecchio distretto?"
"Sì, mi piace quella locanda. E poi ha un nome così particolare".
"Lo penso anche io. In più non c'è mai troppo casino lì, è un posto tranquillo. Io e te non siamo esattamente le anime della festa".
"No, infatti. Più è appartato e più lo preferisco."
Così si diressero verso la locanda.
L'edificio, in pietra e con le rifiniture e le scure delle finestre in legno scuro, li attendeva dall'altra parte della strada. Ai lati dell'ingresso erano posti due vasi in pietra, ornamentali, con delle piante e piccoli fiori viola. Le fiaccole illuminavano l'entrata.
Eren e Mikasa presero posto ad un tavolo per due, uno di fronte all'altra. Attesero che la cameriera si avvicinasse per ordinare due boccali di birra. Rimasti soli si sorrisero e si guardarono un po' intorno per ambientarsi. Agli altri tavoli c'erano altre persone che chiacchieravano, per lo più civili, e a un tavolo dei membri del Corpo di Guarnigione, che facevano più casino degli altri.
Le birre arrivarono poi al tavolo e i due ragazzi fecero cozzare i boccali prima di dare il primo sorso.
"Un po' più animato del solito, ma si sta bene" commentò Eren, e Mikasa si trovò d'accordo.
Lo sguardo di lui si posò involontariamente sul polso fasciato dell'amica, che nascondeva il marchio degli Azumabito. I suoi pensieri tornarono così all'imminente missione di infiltrazione a Marley, di cui tuttavia non potevano parlare così liberamente in una locanda.
"La signora Kiyomi ti ha scritto ancora?" le domandò curioso.
Mikasa annuì.
"Sì, mi ha raccontato altre storie del clan e mi ha mandato fotografie delle loro città. Ma a me non interessa, sono nata e cresciuta qui, non ho bisogno di essere qualcun altro."
Eren sorrise gentile.
"Anche perché ciò che sei non è mica poco."
"Sì...?"
Eren si rese conto di essersi esposto un po' e corse ai ripari, nella comfort zone.
"Sei forte, sei il miglior soldato di tutta Paradis."
Mikasa non rispose, si portò di nuovo il boccale alle labbra ed Eren continuò, aveva voglia di parlare quella sera. Quando era da solo con lei, a volte seppur per brevi istanti, il peso che aveva sul cuore si scioglieva almeno un poco. Probabilmente lei aveva il potere di guarirlo, di fargli dimenticare tutto perfino, se solo avesse potuto dirglielo.
"Chi lo avrebbe detto che un giorno avrebbero visto il tuo marchio. Lo hai tenuto nascosto per tutta la vita. A parte me. Perché lo hai mostrato soltanto a me?"
"Perché di te mi fido. E poi sai come sono fatti i bambini, l'idea di un segreto da condividere unisce molto".
Eren sorrise.
"Sì, mi ricordo ancora quel giorno, infatti. Sembrava che fossimo diventati improvvisamente seri e adulti."
Mikasa rise un po', sinceramente divertita.
"Un segreto da mantenere con tutti, che grande responsabilità!"
Lo sguardo di Eren si spense un po' per un attimo.
"Già. È molto più bello condividere un segreto con qualcuno."
Si riscosse, non voleva pensare a niente che non fosse una serata carina di svago. Non voleva rovinare tutto con quel malumore che si trascinava dietro da quando aveva toccato la mano di Historia. Non si rese conto che Mikasa lo stava scrutando attentamente.
"Eren. Tu mi hai detto tutto di ciò che hai visto, vero?"
"Eh? Sì, certo" mentì lui.
Forse aveva intuito qualcosa, ma quel lampo di sospetto ci mise poco ad andare via, ed Eren non poteva certo biasimarla. Lei voleva soltanto essere felice insieme a lui e forse c'erano anche alcune possibilità che la faccenda tra loro avesse una connotazione romantica. Quindi non voleva soffermarsi troppo sul negativo, voleva concentrarsi sul positivo, esattamente come quella sera stava cercando di fare anche lui.
Be', era ormai abbastanza certo che lo ricambiasse, ma stava temporeggiando perché il futuro -quello scenario- che aveva visto era catastrofico e non lasciava alcuna speranza, né al mondo, né a lui. Non poteva trascinarla in tutto questo.
"Non sei nemmeno più riuscito a vedere altro, dopo quella volta" commentò ancora Mikasa, ed Eren rispose con fare distratto, toccando il manico del suo boccale.
"No, nonostante abbia fatto molte sessioni restando mano a mano con Historia, non ho visto altro".
Mikasa si concentrò immediatamente a guardare il suo boccale e a bere un sorso più lungo del previsto, che rischiò quasi di andarle di traverso, facendola strizzare gli occhi per qualche secondo.
Eren la guardò come se stesse cascando dalle nuvole ma, grazie al cielo, capì.
"Sono state giornate noiose, sai. Certo, Historia è una cara amica, ma avrei preferito passare quei pomeriggi ad esercitarmi e allenarmi con te e Armin".
"Historia deve essere una ragazza interessante con cui parlare. Insomma, è la Regina..."
Eren si sentì lievemente in colpa, perché ad Historia e Floch aveva spiegato le proprie reali intenzioni. Erano gli unici due a conoscenza dei suoi progetti: la prima perché la regina, troppo invischiata nella situazione. Volevano farle mangiare suo fratello Zeke e aveva dovuto prendere per forza tempo mettendola a parte del piano. Non ne era stata molto felice, soprattutto quando l'aveva sottilmente minacciata di tacere sulla questione a costo di doverle manipolare i ricordi a indurla a dimenticare tutto, se proprio non ce la faceva.
Ma era per un obiettivo superiore, prima o poi l'avrebbe perdonato, si augurava.
Floch invece era il tipo adatto ad essere il suo braccio destro, capace di sporcarsi le mani seguendo la sua inclinazione per la violenza.
In un certo senso si sentiva in colpa per non aver potuto parlare a cuore aperto a Mikasa ed Armin, ma semplicemente non poteva. Loro in tutta questa storia dovevano essere gli eroi e la salvezza.
"Sì, è interessante parlare con lei, la conosci."
"Tenendola per mano..." mormorò Mikasa tra sé e sé ed Eren la guardò stupito.
"Non è che sia stato un gesto spontaneo..."
"Ho finito la mia birra".
"Te ne prendo un'altra?"
"No, grazie. Sto a posto".
"Facciamo un'altra passeggiata o vuoi restare qui?"
Mikasa si strinse nelle spalle. Si era spenta, la gelosia l'aveva un po' spenta. Eren cercò di rimediare. Finì la sua birra in pochi sorsi e si alzò dal tavolo.
"Vado a pagare, torno subito."
Mikasa, rimasta sola, si guardò intorno odiandosi per quel senso di insicurezza e tristezza indefinita che provava in quel momento. Che cosa sciocca, si fidava sia di Eren che di Historia, sapeva che la sua amica non l'avrebbe mai ingannata in alcun modo alle sue spalle; eppure l'idea di loro a mano a mano le metteva malinconia. Fece vagare lo sguardo sugli altri clienti della locanda, sembravano tutti sereni, in contrasto con le sensazioni che stava provando lei e che la facevano sentire un po' alienata.
Di che colore è la gelosia? Direi verde, il colore più bello -come i suoi occhi-. Sa di acidità e di speranza infranta... Sa di rabbia. Brucia. Ma non come il fuoco, bensì come il ghiaccio. E poi lascia il posto ad una malinconica solitudine.
Eren le si avvicinò con un sorriso.
"Eccomi, andiamo?"
Mikasa annuì e si alzò. I due ragazzi uscirono dalla locanda e si ritrovarono di nuovo lungo le strade del distretto di Trost, a camminare fianco a fianco. Con disinvoltura, Eren cercò la sua mano e la strinse. Per un attimo sentì Mikasa irrigidirsi al suo fianco, ma poi ricambiò la stretta.
Questo è spontaneo, avrebbe voluto dirle.
Parlò di leggerezze, di ciò che avrebbero probabilmente visto a Marley, stando a quanto aveva lui stesso visto nei ricordi di suo padre, e pian piano il sorriso dolce tornò sul volto di Mikasa, segno che l'insicurezza le era passata.
Sedettero sui gradini in pietra di un vicolo stretto e solitario e guardarono il cielo. Le loro ginocchia si sfioravano, i loro busti erano rivolti un po' di lato, come a volersi chiudere in un abbraccio. Eren non le aveva lasciato andare la mano, anzi, giocava a tracciare linee con l'indice sul palmo della ragazza, mentre le parlava. Mikasa lo lasciava fare come assorta, osservando in silenzio le sue dita.
Nemmeno badarono al tempo che stavano trascorrendo insieme, né al fatto che l'ora fosse sempre più tarda e la notte inoltrata.
Ancora seduti sui gradini in pietra, Mikasa abbandonò il capo sulla sua spalla.
"È notte fonda, Eren".
"Già. Dobbiamo tornare a casa".
Mikasa nascose maggiormente il viso contro di lui.
"Scusa per prima. Al locale".
Eren non rispose subito.
"Di cosa ti scusi? Non ne hai bisogno. Ti conosco. Siamo cresciuti insieme, io conosco i tuoi difetti e tu conosci i miei. Nessuno di noi si abbellisce agli occhi dell'altro. Tu hai accettato la parte migliore di me, e spero anche la peggiore... E... la più turpe".
Mikasa sollevò di scatto il capo, con fare protettivo. Non era d'accordo sul fatto che lui avesse un lato turpe.
"Non è così, Eren!"
Sempre così dolce con me...
Che cosa vuoi che sia un po' di gelosia rispetto al mostro che sono io...
Come dovrebbe darmi fastidio il tuo desiderio di avermi per te, se io provo lo stesso...
Doveva trattenersi, non poteva spingersi oltre con lei, dato che presto avrebbe dovuto lasciarla. Probabilmente proprio a Marley, stando al piano che aveva ideato e che aveva già confidato a Floch.
"Si è fatto davvero troppo tardi, Mikasa. Torniamo a casa."
"Sì".
Eren si fece internamente forza e si alzò, scese un gradino e si voltò a guardarla, porgendole ancora la sua mano. Mikasa la strinse delicatamente, e i due ragazzi si allontanarono nella notte, amandosi con gli occhi e condividendo quello stesso segreto senza dirselo.

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