3. Will

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 Si era appena lasciato alle spalle Nico di Angelo quando si ricordò della montagna di faccende che ancora lo aspettavano. Dopo aver risanato ferite nei giorni precedenti, avrebbe dovuto controllare i feriti e fare un catalogo di tutte le medicine, bende, garze, rimaste. Non aveva potuto farlo l'ultimo giorno di luglio, con la guerra contro i romani imminente, e il parto di Mellie altrettanto prossimo.

 Will afferrò la tabella di marcia dalla sua piccola scrivania. Da quanto poté leggere, suo fratello Austin doveva arrivare a minuti per aiutarlo. Ma quel giorno si preannunciava tranquillo. La maggior parte dei feriti gravi stava guarendo in fretta grazie all'ambrosia e al nettare, e Mellie si era completamente ripresa dal parto. Ora, l'unica cosa di cui doveva preoccuparsi era il figlio di Ade che giaceva immobile oltre il separé, nella sua piccola stanzetta privata, che attendeva con ansia la fine dei tre giorni di riposo.

 Will sospirò. Nei due giorni precedenti aveva lavorato così tanto che ora desiderava solo una pausa. Magari in spiaggia, in costume, con il sole che gli baciava la pelle, sorseggiando tè freddo - o qualcosa di più forte - e aspettando l'onda giusta per fare un po' di surf.

 Ma non poteva lasciare i suoi pazienti nelle mani dei suoi fratelli. Certo, si fidava di loro e delle loro doti guaritrici - simili alle sue, essendo figli di Apollo - ma a differenza dei suoi fratelli era il più grande, sebbene non il maggiore tra tutti, e desiderava ardentemente una carriera da medico. Infondo, se i Beatles, figli di Apollo, erano riusciti a diventare una grande band musicale nel mondo degli umani, perché lui non poteva diventare un medico di successo?

 Anche se non avrebbe mai lasciato il campo. Lì avevano bisogno di lui. Ma ora che la guerra con i romani si era estinta, e che Gea non rischiava più di risorgere, e visto che Rachel Elizabeth Dare non era più in grado di fare profezie, forse per il Campo Mezzosangue si annunciava una pace duratura. Per gli Dei, duratura... Almeno uno o due anni di pace potevano concederglieli, no?

 Nonostante i suoi mille sforzi al Campo, Will sognava ancora di tornare in città, frequentare l'Università e laurearsi in medicina, diventare medico. Ma non lo faceva per i soldi, solo perché aiutare gli altri, guarirli, curarli, lo faceva sentire bene con se stesso. E ogni volta che un paziente, un suo amico semidio, moriva... Be', se ne andava anche una piccola parte di lui.

 Will batté le palpebre e guardò verso la porta, e occhieggiò l'orologio. Austin era in ritardo. Di cinque... no, sei minuti. Poteva accettarlo, ma non quel giorno, con l'inventario da compilare, e gli ordini per i nuovi kit da preparare entro la fine della giornata. Aveva finito quasi tutte le bende disponibili, per non parlare dei disinfettanti.

 E sì, aveva bisogno di una pausa, almeno metà giornata di riposo da passare in spiaggia, con il sole, la vitamina D e la pace.

 Si voltò a guardare verso il separé che nascondeva Nico di Angelo da occhi indiscreti. Si era preparato ad uno scontro peggiore con il figlio di Ade, ed era rimasto sorpreso nel notare la sua docilità nel seguirlo in infermeria. Forse per quanto successo con Jason Grace e Percy Jackson. Doveva indagare più a fondo sulla faccenda.

 Suo fratello Austin entrò in infermeria allo scoccare di ben dieci minuti di ritardo. Will lo guardò mentre si avvicinava alla sua sedia.

 «Ciao.» lo salutò Austin. «Scusa il ritardo.»

 Will lo fissò. A giudicare dalle occhiaie e i capelli scompigliati, Austin doveva essere appena sceso dal letto. E Will si era curato di svegliarlo prima di uscire di casa, con l'intenzione di andare a svegliare Nico. Ma Grace lo aveva preceduto.

 «Ben arrivato.» lo salutò Will, sarcastico. «Perché non ti sei fermato a letto ancora dieci minuti?»

  Austin batté le palpebre. «Posso..?»

 «No. Abbiamo delle cose da fare.»

 «Tipo?»

 «Dobbiamo fare l'inventario.»

 Austin borbottò qualcosa. «Entro stasera, vero?» aggiunse, più comprensibile.

 «Sí.»

 «Tu invece che devi fare?»

 «Devo andare a controllare come stanno i feriti. E controllare che le dita degli Stoll siano ancora tutte al loro posto.»

 «Alle dieci i romani partono.» lo avvertì Austin.

 Will sorrise. «Allora è meglio che vado a controllare i loro feriti prima della partenza.»

 Austin annuì e di sedette al suo posto alla scrivania, recuperando un plico di carte e cominciando a scrivere.

 Will fu tentato di scompigliargli i capelli, ma si trattenne. Aveva del lavoro da fare. Afferrò la cartella con i nomi dei feriti romani e superò il separé di Nico.

 «Allora?» chiese Will, lanciandogli una breve occhiata.

 «Mmh?» mugugnò il figlio di Ade, perplesso.

 «Non ti senti più riposato?»

 «No.»

 «Peccato.» Will lesse i nomi sulla cartella con attenzione e annuì. «Scusami, Nico, ma ora ho da fare. Devo controllare i romani, stanno per partire.»

 «Non hai bisogno di un assistente, vero?»

 Will rise. «É troppo tardi per avere un assistente, ma ti ringrazio.»

 Nico sbuffò e torno alla sua occupazione primaria: fissare il soffitto con i suoi occhi infossati.

 Will lo studiò, un leggero sorriso sulle labbra. Conosceva il figlio di Ade da circa quattro anni, sebbene solo di vista e di nome. Si ricordava vagamente del bambino di dieci anni arrivato insieme a Jackson, Thalia Grace e un cappanello di Cacciatrici di Artemide. Eccitato all'idea di trovarsi in un Campo di suoi simili, di semidei. A quel tempo non aveva ancora idea di chi fosse suo padre, e nessuno si era di certo aspettato che, come Percy Jackson e Thalia Grace, fosse figlio di uno deire Pezzi Grossi.

 Per Tre Pezzi Grossi, naturalmente, si intendono Zeus, Poseidone e Ade.

 «Ci sono dei libri, nel cassettone.» lo avvertì Will, con un altro sorriso. «Non consumare il soffitto.»

 Nico gli scoccò un'occhiataccia. «E tu non consumarti il sorriso.»

 «Oh, non preoccuparti, il mio sorriso non si consuma, Death Boy.»

 Nico si mise seduto di scatto, gli occhi neri fissi su di lui. «Non mi chiamare Death Boy.» sibilò.

 «É un bel soprannome. Ti fa quasi sembrare un supereroe.»

 Nico sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Un supereroe?» ripeté.

 Will scrollò le spalle. «Scusami, ma ora devo andare. Se vuoi, se non ti va di leggere, puoi cercarmi un soprannome non troppo offensivo da appiopparmi fino a quando non lascerai l'infermeria.»

 «Bene, lo farò.»

 Will gli lanciò un altro scintillante sorriso degno di Apollo, e uscì dall'infermeria.

Avere una seconda vita è una cosa. È renderla migliore, il trucco...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora