Atene, 412 a.C.
Ad Atene c'erano tre tipi di notte. In quel periodo si alternavano spesso.
Il primo tipo era quello più fastidioso: quando c'erano incontri nell'agorà, per feste o celebrazioni in onore di qualche dio, e dopo aver organizzato giochi e spettacoli per tutto il corso della giornata, alla fine della serata gli uomini si ritrovavano per le strade o nelle case e bevevano, cantavano, improvvisavano dichiarazioni d'amore e ridevano, ridevano fino a quando il vino non dava loro il colpo di grazia. Le risate si sentivano a distanza di interi quartieri, e forse alle prime luci dell'alba ancora da qualche parte nei vicoli. Di solito la mattina volavano insulti e vasi dalle finestre, perché nessuno era più riuscito a riaddormentarsi. Però, in fondo, era il tipo di notte in cui tutta la città cantava e veniva tenuta in vita dalle risate di quegli uomini. Era una notte senza sonno, ma una notte di allegria.
Il secondo tipo era il più comune, una notte noiosa in cui neanche i cani randagi avevano voglia di guaire tanto era ferma e silenziosa l'aria. Nessuno per strada, tutti a letto.
E poi c'era la terza notte, quella peggiore di tutte. La notte in cui era tutto talmente buio e immobile, talmente spaventose le ombre delle statue sulle pareti che si iniziava ad avvertire uno strano presentimento. Quello strano presentimento si trasformava pian piano nel rumore dei passi, lontani ancora tante miglia, distinti, forti, sempre più forti. Diventava un presentimento a forma di scudi, di elmi rossi, di lance battute l'una contro l'altra.
Quella notte era una terza notte: erano arrivati gli spartani.
Non mandavano mai un pugno di uomini tanto per far scena, ma una truppa armata e ben organizzata. Di solito arrivavano direttamente sotto le mura: la loro speranza era far pressione su almeno una delle tante porte, così da mettere in crisi le guardie all'entrata e penetrare all'interno una volta per tutte. Era dall'inizio della guerra che facevano così, ed era proprio per loro che gli ateniesi avevano costruito le lunghe mura, per umiliarli, per sentirsi ancora più invincibili, per guardarli dall'alto in basso come per dire: "Ma cosa ci provate a fare?"
Gli Ateniesi erano la volpe che prima colpiva e poi si rifugiava dentro la tana e gli Spartani i tori impazziti che reagivano alle provocazioni colpendo a testate il più forte possibile.
Ma quella volta era diverso. Quella notte gli Spartani avevano portato il fuoco, e non si erano spinti fin sotto le mura. Erano sulla pianura, ben distribuiti, guardinghi.
E, all'improvviso, una torcia lanciata fra gli ulivi suggerì alle sentinelle che forse tutta la città andava avvertita. Immediatamente.
Prima le urla d'allarme, poi le porte spalancate, le donne spaventate, le grida degli uomini che maledivano gli Spartani e chissà quanti dei loro avi, perché in qualche modo sapevano chi c'era fuori dalle mura anche senza aver controllato. Lo sapevano, punto e basta.
Fra un grido e l'altro i versi delle caprette dei recinti, l'abbaiare dei cani storditi svegliarono anche i bambini, e in un attimo ecco che metà Atene era sparsa per strada a correre da una parte all'altra.
Gli artigiani prendevano ciò che potevano dalle loro botteghe, vasi, attrezzi, sgabelli, e solo dopo si ricordavano della moglie e dei figli lasciati sulla soglia di casa. Le donne rimanevano dentro a raccogliere ciò che potevano, rassicurando i bambini e cercando di non essere troppo d'intralcio ai mariti che si radunavano fuori correndo tutti verso un unico punto: la piazza. I soldati, invece, si stavano infilando le armature e tirando fuori i cavalli assonnati dalle stalle. Il centro della città divenne peggio di uno stadio, non ci si sentiva neanche a pochi passi di distanza. Ma nei quartieri più lontani, quelli dei ricchi, il rumore ancora non arrivava. Lì, in fondo ad una di quelle stradine buie non molto strette, appoggiata al davanzale della sua finestrella, era rimasta una ragazza.
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GHIGHNOMAI
Historical FictionSe pensate che siano gli altri a decidere il nostro futuro e a dettarci le regole per vivere, non potete immaginare il disegno che la macchina della vita ha in serbo per ognuno di noi. Edna questo l'ha sempre saputo, ma una ragazza ateniese non può...