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 <<E' lui?>> chiese Danae, quando si sentì il cigolio delle ante del portone da sotto.

Edna si mise sulle ginocchia e tese l'orecchio. Udì il rumore delle ruote di un carro e l'ansimare degli schiavi che tiravano giù la merce. <<No.>> disse, e si ripiegò per terra a raccogliere ciò che rimaneva di una ciotola di ceramica.

Danae, presa dallo sconforto, si lasciò cadere di nuovo sul cuscino, e la sentì lamentarsi. Per la decima volta solo quella mattina.

Edna non era esattamente dell'umore giusto per consolarla. Era già abbastanza innervosita dal fatto che sua madre avesse mandato lei a fare le pulizie nella stanza di Danae, con la scusa di tenerle un po' di compagnia vista la sua situazione. Comprendeva, più o meno, la fatica e la desolazione di dover star ferma a sopportare il dolore senza il marito vicino, ma pensava che avrebbe dovuto avere un minimo di accortezza prima di alzarsi, se sapeva di non sentirsi bene. Si erano tutti spaventati quando avevano udito lo schianto proveniente dalla stanza di Danae, ma per fortuna lei non si era fatta niente. Due schiavi l'avevano trovata accasciata sotto alla mensola di legno, che ora pendeva solo da un chiodo, che si massaggiava il pancione ansimante mentre guardava inorridita i cocci di ceramica ai suoi piedi.

Edna non aveva ancora capito cosa l'avesse spinta ad alzarsi, visto che adesso non si spostava più dal letto; forse il bisogno di affacciarsi alla finestra o di muovere un po' le gambe indolenzite. Comunque fosse Danae non aveva voluto proferir parola per tutto il tempo che Edna era rimasta nella sua stanza, e se per caso si sentivano rumori dal piano di sotto domandava sempre se fosse tornato Ioannis. E visto che quello era giorno di spesa e che veniva scaricata parecchia merce, Edna se lo sentiva chiedere praticamente ogni dieci minuti.

In realtà neanche lei aveva tanta voglia di parlarle. Pensava piuttosto a finire in fretta, così magari sarebbe scesa di sotto con la scusa di lavarsi le mani e allora avrebbe visto Amos.

Ovviamente non era più entrato nella sua stanza da quando era successo quell'incidente, il che risaliva più o meno a dieci giorni prima. Edna era troppo orgogliosa e ancora troppo confusa per mandarlo a chiamare, ma questo non toglieva che le avrebbe fatto piacere rivederlo, anche se sapeva che forse per lui non era la stessa cosa.

Si sentì il rumore di un'anta del portone che veniva sbattuta al muro.

<<E' lui?>>

<<No, Danae, finiscila.>>

Sentì inevitabilmente lo sguardo fulminante di Danae sulla schiena. Si voltò e si accorse che era proprio così. Danae la fissò con disprezzo e prese di nuovo a toccarsi il pancione.

<<Ricordati che tu non sei costretta a stare a letto con un bambino sullo stomaco.>>

<<E non ho intenzione di esserlo, per fortuna.>>

Tornò sui cocci di ceramica, ma sentì Danae sbuffare. <<Come se fosse una cosa di cui vantarsi.>>

<<Di certo non mi vanterei di avere i piedi gonfi e le caviglie doloranti.>>

<<Sono cose che si sopportano quando si hanno delle responsabilità.>>

<<E quindi stai insinuando che io invece non ne abbia mai avute, non è così?>>

<<Può darsi.>>

<<Cos'è, l'umidità qua dentro ti ha resa più acida?>>

Danae non rispose. Edna capì di aver parlato troppo, ma non aveva intenzione di scusarsi. Dopotutto era Danae che insisteva, e lei voleva solo essere lasciata in pace.

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