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Atene, 410 a.C.

Passò poco meno di un anno. All'incirca otto mesi.

All'inizio della primavera il consiglio dei quattrocento -così era stato chiamato il gruppo di uomini fidati ad Erodio che avevano preso il comando- era riuscito a risaldare quasi tutti i debiti in cui versava la città a causa delle perdite per gli attacchi spartani che, ovviamente, da otto mesi erano cessati. Se non altro una virtù degli Spartani era che mantenevano fede alla parola data.

Avevano fatto costruire al Pireo una nuova fortificazione per le scorte alimentari, nel caso potesse servire per attacchi improvvisi in futuro e, inoltre, abolito il compenso in denaro per le cariche pubbliche, eccetto i pritani e gli arconti. Una decisione equa se si pensa che Pericle fece in modo che tutti i cittadini che partecipavano attivamente alla vita politica ottenessero un compenso in denaro. Ora che ci partecipavano solo quattrocento uomini era giusto che lo facessero spontaneamente e senza retribuzione. E ovviamente questa era stata un'idea di Aristene, che era stata rifiutata da Erodio e molti altri uomini per lungo tempo prima di essere approvata dalla maggioranza. Ma questa fu la prima di un'infinita sfilza di proposte che subirono lo stesso percorso.

Se mai c'era stato un unico parere compatto e coeso, ora se n'erano formati due, con i rispettivi due leader: Aristene ed Erodio. Il primo gruppo con le proposte più conformi ai bisogni diretti, progressisti e democratici, il secondo con quelle più rigide, moderate e dispendiose. Era una divisione che non c'era ma si percepiva a pelle, durante le sedute o gli eventi pubblici, resa più evidente dal fatto che né Aristene né Erodio, ormai, partecipavano alle stesse cene o agli stessi incontri, e che c'erano i soliti due gruppi di uomini formatisi di conseguenza, uno che seguiva Aristene e l'altro che seguiva Erodio. In particolare, fra i loro amici, solo Callistrato, Lisia e Policleto appoggiavano direttamente Aristene. Callimaco, Eustachio, Odimante e Crizia avevano scelto l'altro lato.

Il popolo non era proprio contento della novità. La presenza alle assemblee e le votazioni erano un diritto che gli avi degli Ateniesi avevano ottenuto col sudore e col sangue, e anche i contadini più ignoranti capivano che gli stavano negando un privilegio essenziale. Anche loro, nelle locande del porto, sui gradini degli altari, nei vicoli, si riunivano tra una bevuta e una partita a dadi e parlavano dell'argomento con facce serie e ghigni distorti. Erano tutti d'accordo su una cosa: i quattrocento non avevano ancora mantenuto la promessa di una giusta paga per tutti, e per giunta negavano al popolo l'accesso alla politica. Questa sarebbe diventata tirannia. Ma anche i più esaltati capivano che non c'era proprio nulla da fare contro il consiglio dei quattrocento uomini più potenti di Atene. Serviva solo l'occasione giusta da prendere al balzo.

Edna non aveva idea di tutto questo. Edna non si accorgeva del mondo circostante da otto mesi.

Dal giorno in cui lui l'aveva lasciata si era chiusa nella sua camera e non era più uscita se non per prendere il cibo -che poi consumava comunque nella propria stanza- o per fare le faccende di casa e andare a prendere l'acqua alla fontana. E anche quando ci andava, si trovava da sola.

Cassandra di giorno dormiva visto che di notte aveva molto più da lavorare nell'ultimo periodo, mentre Danae a prescindere non poteva muoversi di casa date le sue condizioni.

Edna l'aveva scoperto per caso che era rimasta incinta, anche se lo sospettava date le voci che sentiva dai servi. Un giorno in casa era arrivato un medico, ed era stato lì che aveva iniziato a sospettare. Quando aveva finito di visitare Danae nella sua stanza -una camera vuota del gineceo che era stata arredata dopo il matrimonio- Edna si era intrufolata dentro e aveva chiesto spiegazioni. Danae non aveva fatto nulla, si era semplicemente toccata la pancia e aveva iniziato a piangere. Lì aveva capito. E l'aveva abbracciata.

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