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NON PISCIATE PER STRADA

PORCO ZEUS

MELEZIO LA PROSIMA VOLTA TI METTO LA TESTA SOT ACQUA

MAGARI CREPA

CHE CI FANNO I PEZZI DA CATALETTO ALLA PNICE?

Edna queste scritte sui muri le vedeva quasi tutti i giorni, quando tornava dalla fontana con l'anfora in mano e decideva di fare il giro lungo per tornare a casa, e in un certo senso adesso ci era così abituata che non le facevano più tanto ridere.

Ma per Gordias quella era una novità.

Non sapeva neanche lui come avesse fatto a finire in quel quartiere, fatto stava che quasi certamente si era perso.

Il cielo sopra di lui iniziava a colorarsi di rosso, le persone per strada diminuivano sempre di più, le finestre delle case si stavano illuminando una ad una. Era quasi ora di cena, ma a casa avrebbero fatto a meno di lui quella sera, perché da un po' di giorni Gordias non riusciva più a sopportare di dover essere sempre stanato e rimproverato da Tecla per le faccende domestiche, e quindi aveva imparato ad usare la stessa strategia di Edna: svignarsela di casa.

Sapeva che probabilmente, quando Edna sarebbe tornata nel suo corpo, si sarebbe anche presa una bella punizione dai genitori per colpa sua, ma non gli importava. Dopotutto il corpo era il suo, e anche quelli sarebbero stati fatti suoi.

Solo che in quel momento si chiedeva se quella fosse stata una buona idea. Quella strada non assomigliava affatto alla via che aveva imparato a percorrere per tornare a casa. Era più piccola, sgangherata, sporca, le case erano piccole e sui muri c'erano delle scritte a dir poco oscene, accompagnate anche dagli appositi disegni.

Qualunque cosa ma non quello: si sarebbe aspettato di vedere di tutto, ma non quelle scritte. Aveva sempre considerato gli Ateniesi dei filosofi effemminati, niente di più, e invece iniziava a scoprire che erano qualcosa di molto peggiore.

Lo aveva notato da un po' in realtà, nelle rare occasioni in cui si trovava per strada e sentiva i commenti dei passanti, i loro mormorii nel momento in cui vedevano una ragazza passeggiare, i fischi dei più audaci.

E c'erano delle volte in cui non si fermavano solo a parole, ma le afferravano per il polso, si avvicinavano a loro, e poi più niente, perché puntualmente Gordias decideva che era meglio non farsi vedere e se ne andava via.

Se avesse avuto il suo corpo avrebbe saputo come difendersi, ma solo dopo si ricordava che aveva le sembianze di una ragazzina, di una potenziale preda, e capiva che non c'era proprio nulla che potesse fare se non mettersi a correre.

Eppure si sentiva proprio uno stupido. Era qualcosa di strano da concepire per un ragazzo come lui, il timore di essere fermato, di essere guardato, di essere debole e non avere via di scampo. Lui era lo stesso, un ragazzo spartano che sapeva combattere, che sapeva uccidere, che si faceva giustizia da solo. Ma fuori non era così, fuori c'era una pelle che non gli apparteneva, una persona che non combaciava con lui, e tante volte diventava frustrante sapere che non si poteva permettere di pensare a sé stesso, perché ora erano in due. Due metà che insieme non potevano lavorare, ma che continuavano a toccarsi sempre, senza completarsi.

Gordias aveva la testa china, calciava i sassolini che trovava per terra con un piccolo piede che non era il suo.

Nell'aria c'era solo odore di carne bruciata, vino e il suono di un flauto. Dapprima solo questo, poi si aggiunse anche quello di un tamburello. Ma era lontano, era ovattato, e Gordias muoveva la testa a tempo senza neanche accorgersene, perché i suoi pensieri vagavano in qualche altro posto, per qualche altra persona.

GHIGHNOMAIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora