Tre parole, un ordine, un dito. Erano bastati a spegnere un sorriso.
Era successo tutto quel pomeriggio, un pomeriggio in cui le cucine si erano fatte stranamente silenziose e l'intera casa riposava approfittando di quella poca ombra nelle stanze.
Era in momenti come questi che, senza essere visto da nessuno, Amos si allontanava dagli alloggi degli schiavi e si precipitava nella camera di Edna. Da un bel po' di tempo si incontravano in questo modo, -sì, insomma, fin quando non era successo quel che era successo- a volte anche solo per qualche minuto, sia perché ad Amos piaceva passare del tempo con lei, sia perché Edna aveva volentieri deciso di aiutarlo.
Si mettevano seduti al suo tavolino di legno, lei prendeva dei foglietti di pergamena e con il carboncino iniziava a scrivere delle lettere che poi Amos ripeteva ad alta voce.
Entrambi sapevano che aveva bisogno di imparare bene la lingua, ed Edna era ben felice di poter insegnare a qualcuno quello che sapeva. Anche lei aveva imparato a leggere e a scrivere di nascosto, e tutto grazie all'aiuto di Socrate che, ogni tanto, quando Edna si presentava a casa sua, le passava di nascosto degli scritti o delle piccole pergamene.
I suoi genitori non sospettavano di niente, e guai se lo fossero venuti a sapere!
Ma per fortuna Edna faceva attenzione a questo tipo di cose, e aveva chiesto ad Amos di fare lo stesso.
Oltretutto facevano lezione a bassa voce per quanto gli era possibile, ma a volte capitava che Amos pronunciasse le vocali così male che Edna buttava la testa sul tavolo e non smetteva di ridere fin quando lui non riusciva a sollevargliela di nuovo.
Amos non si offendeva neanche, anzi, provava e riprovava finché non pronunciava la parola perfettamente. Ovviamente Edna gli aveva insegnato anche a scrivere, ed era lì che Amos dava il meglio di sé: o le lettere erano troppo grandi oppure erano troppo piccole, scriveva le parole tutte attaccate, impugnava il carboncino come se fosse un forcone; praticamente invece di scrivere disegnava.
Ma Edna continuava a ridere, continuava a correggerlo, e soprattutto continuava ad incoraggiarlo a riprovare sempre. Se c'era qualcosa che aveva imparato in sedici anni di vita, era proprio quella.
Quel pomeriggio Amos correva per le scale impaziente di incontrarla. Voleva mostrare a Edna tutti i progressi che era riuscito a fare in quegli ultimi giorni. Peccato che quel pomeriggio, nella stanza, non ci fosse Edna.
Gordias era lì in piedi a fissare la parete di fronte al letto, quella tappezzata di foglietti e pergamene. Tutti disegni interessanti, a suo parere, ma brutti. Gordias non aveva mai provato a disegnare in vita sua, ma era abbastanza certo che quei disegni fossero frutto di una mano frettolosa e imprecisa. Per definirsi tale, un disegno doveva riprodurre la realtà, e quelle immagini erano quanto più ci fosse di irreale. E poi rappresentavano oggetti e macchine che non aveva mai visto. Si chiedeva come fosse venuto in mente a quella ragazza di sprecare il suo tempo in lavoretti del genere. Non avevano senso.
Fu allora che udì uno scricchiolio, e da dietro la porta sbucò il viso di un ragazzino bruno, abbastanza giovane.
Gordias lo squadrò aggrottando le sopracciglia: l'aveva visto un paio di volte lavorare con altri ragazzi più grandi in cortile, e dal modo in cui era vestito dedusse che doveva per forza trattarsi di uno schiavo.
La cosa strana era che non ricordava di averlo chiamato, e per di più il ragazzo era entrato senza bussare, salutandolo addirittura per nome. O meglio, col nome di Edna.
Era sorridente, sembrava che stesse aspettando qualcosa da lui. Ma quell'atteggiamento lo fece solo innervosire di più.
Gli schiavi non li sopportava; ti guardavano con quegli occhi innocenti, si mostravano mansueti e innocui non appena chiedevi loro di fare qualcosa, ti seguivano dappertutto, ma sotto sotto ti avrebbero anche fatto fuori se solo avessero potuto. Erano stupidi e pure perfidi, non certo persone di cui fidarsi. Proprio per questo non ci voleva mai avere a che fare, e se accadeva, per rivolte o per disordini di ogni genere -cose che dalle sue parti succedevano molto spesso- non aveva pietà.
"Fortunatamente" per Amos, Gordias iniziava ad avere la gola secca, e prima di cacciarlo via pensò che, almeno per il momento, avrebbe potuto essergli utile.
Così gli si avvicinò -non molto- alzò il mento, puntò il dito verso la porta e gli disse: <<Portami dell'acqua, schiavo.>>
L'espressione di Amos era cambiata di colpo. Dapprima rimase confuso, poi spaesato, poi amareggiato. E non perché non avesse capito l'ordine. Purtroppo l'ultima parola, "schiavo", l'aveva capita benissimo. Edna non l'aveva mai usata, neanche per rivolgersi a quelli più grandi. Edna con lui era gentile, era allegra, e non lo guardava come se fosse un essere disgustoso. Però era così che si sentiva guardato, in quel momento, e lui non capiva il perché.
<<Beh? Mi hai sentito?>> Gordias aveva alzato la voce.
Gli indicò la porta con la mano ancora una volta e gli venne più vicino. Ma Amos indietreggiò. Quella non era la Edna che conosceva lui.
Si diresse in silenzio verso la porta, senza staccare gli occhi da Gordias nemmeno un secondo. E neanche Gordias aveva intenzione di staccarli.
Amos si girò per aprirla, ma prima di andarsene gli rivolse un'occhiata speranzosa, come se da un secondo all'altro Edna avesse potuto iniziare a ridere e dirgli finalmente che quello era tutto uno scherzo, che lo stava prendendo in giro. E Amos non si sarebbe offeso, anzi, l'avrebbe abbracciata forte e avrebbe riso anche lui. Ma non accadde nulla di tutto ciò.
Gordias lo vide chiudere lentamente la porta, con lo stesso cigolio di prima. La cosa peggiore era che lui era tornato a fissare la parete in tutta tranquillità, mentre pensava di aver fatto la cosa più normale del mondo: ordinare ad uno schiavo di prendere l'acqua. Non si rendeva conto che, con tre parole, un ordine e un dito, aveva spezzato il cuore di quel ragazzo che adesso scendeva le scale a passi pesanti, con la testa china e le lacrime agli occhi.
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GHIGHNOMAI
Historical FictionSe pensate che siano gli altri a decidere il nostro futuro e a dettarci le regole per vivere, non potete immaginare il disegno che la macchina della vita ha in serbo per ognuno di noi. Edna questo l'ha sempre saputo, ma una ragazza ateniese non può...