<<Padre!>>
Edna non si era più addormentata da quando lui se n'era andato via. Un po' perché non era più riuscita a riprendere sonno, un po' perché aveva paura di fare altri incubi e un po' perché, beh, c'era ancora uno spartano su quell'isola.
Però doveva ammettere che non le faceva molta paura rimanere in quella piccola radura, con la cascata, gli alberi e tutti quegli uccellini. Si sentiva meno sola, e soprattutto protetta.
Non sapeva che ora fosse, sapeva solo che era ancora molto buio ed era pericoloso avventurarsi da sola nel bel mezzo della foresta.
Si era alzata guardandosi intorno e poi aveva risalito il bordo di terra da cui quella mattina era scivolata giù, sporcandosi tutto il vestito. Il cervo era ancora lì, nella stessa posizione e con la stessa ferita aperta nel fianco. L'unica cosa che era cambiata era l'odore, che era ancora più nauseante di quando l'aveva visto la prima volta.
Stava facendo per andarsene, col naso tappato e lo stomaco in subbuglio, ma era quasi certa di aver sentito delle voci. Venivano dalla foresta, da un punto che ovviamente non era riuscita ad individuare. Era ancora troppo buio perché potesse vedere anche solo ad un metro dal suo naso.
Eppure le sentiva. Non così vicine, ma le sentiva.
Un passo alla volta, aveva tentato di andarsene da quella bellissima radura, seppur a malincuore. Per avanzare era stata costretta ad appoggiarsi ai tronchi degli alberi e ad allungare la mano a vuoto, come se fosse cieca, ma almeno era riuscita a spostarsi un po'.
Il problema, però, era che le voci avevano iniziato ad affievolirsi, e di tanto in tanto aveva sentito dei rumori dietro di sé, nei cespugli, sopra gli alberi, come se qualcuno la stesse spiando. A quel punto era stata quasi tentata di tornare indietro, ma nel momento esatto in cui aveva fatto per voltarsi, lì, dietro degli alberi non troppo distanti da lei, in un punto illuminato dalla poca luce di quella luna a spicchio, aveva visto qualcuno.
Ecco, in quel momento aveva urlato quella parola, quel nome che per un attimo aveva pensato di non poter pronunciare mai più: <<Padre!>>
Più si avvicinava e più era convinta che fosse proprio lui, anche se con la barba un po' più lunga, il vestito strappato in diversi punti e qualche livido sulle braccia.
Non appena anche lui la vide, non poté far altro che sgranare gli occhi e rimanere lì immobile a fissare quella ragazzina che gli correva in contro entusiasta e che in qualche modo gli ricordava sua figlia.
<<Padre, sei vivo!>> singhiozzò Edna nascondendo il viso fra le pieghe della veste blu e abbracciandolo forte, forse troppo. Lo stringeva così tanto che per un attimo ebbe paura di stargli facendo male, e dopo qualche minuto di scostò leggermente.
Aristene non si muoveva, sembrava un pezzo di legno. Quando Edna sollevò lo sguardo per incontrare il suo, asciugandosi gli occhi, trovò un'espressione che mai si sarebbe aspettata di vedere in una situazione del genere. Magari in una normale sì, quando combinava qualcosa e lui la guardava con quella delusione e quel disgusto sulla faccia che a volte significavano: "Mi fai vergognare di essere tuo padre". Purtroppo in quel momento la guardava proprio nello stesso modo.
<<Che ci fai tu qui?!>> chiese strattonandola per le spalle.
Edna rimase a guardarlo negli occhi. Non riusciva a comprendere la sua reazione.
<<Mi vuoi rispondere, sì o no?!>> chiese strattonandola più forte.
Edna abbassò lo sguardo e si fissò i piedi. Una sola domanda le passò per la testa in quel momento, di sfuggita. La solita: perché doveva sempre andare a finire così?
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GHIGHNOMAI
Historical FictionSe pensate che siano gli altri a decidere il nostro futuro e a dettarci le regole per vivere, non potete immaginare il disegno che la macchina della vita ha in serbo per ognuno di noi. Edna questo l'ha sempre saputo, ma una ragazza ateniese non può...