3.

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Danae tremava come una fogliolina.

Ogni minuto che Edna passava lì dentro era un minuto di urla, armi, fuoco, là fuori. Aveva sentito gridare un nome, da qualche parte. Non ricordava quale fosse, ma erano seguiti pianti di dolore. Qualcuno laggiù aveva perso la vita, sopraffatto dal nemico o divorato dal fuoco. Lo avrebbero scoperto presto, in un modo o nell'altro.

<<Eccoli.>>

Edna era arrivata, correva giù per le scale e nel frattempo tentava di infilarsi l'elmo in testa: <<Sono pesantissimi!>> protestò, poi prese la lancia e poi lo scudo nell'altra mano <<E anche scomodi, devo dire.>>

<<Chissà come fanno, gli uomini, in guerra...>> commentò Danae alzando un sopracciglio.

<<Un giorno lo scoprirò.>>

<<Certo.>> disse Danae alzando gli occhi al cielo.

Edna notò il vapore che iniziava ad intravedersi nell'aria, e il contenitore d'argilla che roteava su sè stesso. Si posizionò proprio lì davanti, con la lancia ben impiantata per terra.

<<Danae!>> la chiamò facendola sobbalzare. Indicò un punto nei pressi del tempio che si era lasciata alle spalle <<Mi serve il fuoco. Mettilo qui, dietro di me.>>

Danae prese un ramoscello che aveva staccato dal pino e raccolse una scintilla del fuoco dal braciere. Lo appoggiò su di un piccolo cumolo di altri ramoscelli che aveva preparato nel frattempo e il fuoco fece presto il suo lavoro.

Si girò un momento, la squadrò dall'alto verso il basso: <<Sembri proprio Atena.>>

<<Davvero?>> Edna si voltò sorridendo, sgranando gli occhi per la sorpresa, e quando Danae annuì, sentì una sensazione di soddisfazione pervaderle il corpo da cima a fondo. <<Bene.>>

Si voltò verso l'orizzonte: ancora fuoco e grida. Quelli che sembravano formiche colorate in realtà erano gli elmi rossi e blu di Spartani e Ateniesi che tentavano di respingersi a vicenda, ma non si mischiavano mai. Poteva fermare tutto. Poteva farlo da sola.

Necessaria l'arte dell'inganno quando la gente vuol farsi ingannare, pensò sogghignando.

La nuvola saliva verso il cielo bianca e densa, mentre il fuoco scoppiettante riscaldava le sue vesti e le arrossava appena la pelle. Edna aveva avvertito Danae di starsene dove nessuno avrebbe potuto vederla, dietro alle colonne del tempio. Restava lì, rannicchiata dietro ad una colonna di marmo, in attesa di ricevere un avvertimento o un segnale. Provava a coprirsi le spalle col velo, ma il vento che arrivava lassù era pungente, e tanto ululava che la costringeva a rimanere rigida come un palo di legno.

Dapprima, Edna sollevò la lancia verso l'alto appoggiando invece il piede sinistro in avanti. Non passarono che pochissimi secondi, e qualche grido di stupore iniziò ad udirsi da punti differenti della città. I mormorii si moltiplicavano, e così anche i battiti delle mani, quasi stessero assistendo a qualche rappresentazione teatrale, come accadeva negli anfiteatri, quando si festeggiavano le grandi Dionisie. Lei non ci aveva mai partecipato, non l'era mai stato permesso. Eppure quella sera era l'attrice principale.

Paramone, il generale Spartano a capo dell'incursione, era rimasto fino ad allora ad ammirare, sotto un ulivo, il fuoco che consumava la campagna. Quell'invasione non aveva uno scopo preciso: l'obiettivo era privare la città delle sue risorse per quanto fosse possibile, anche se la soddisfazione di vedere gli Ateniesi in seria difficoltà era impagabile. Ma quando si accorse della strana ombra sull'acropoli, quella che tutta la città guardava immobilizzata, capì che il tempo del gioco era terminato. Montò in sella, strinse le briglie del cavallo, che alzò la testa sorpreso: anche in mezzo a quel fracasso, poverino, aveva sperato di appisolarsi.

GHIGHNOMAIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora