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Edna aveva tanti difetti: a volte era impulsiva, maleducata, sfacciata, irrispettosa, iperattiva, strana sotto molti punti di vista. Ma non bisogna dimenticare che era pur sempre una ragazza greca.

Per i primi anni della sua vita, quelli in cui era cresciuta dentro casa sotto gli insegnamenti di sua madre, era stata convinta che gli dei avessero il potere assoluto sugli uomini, che il loro volere alterasse per sempre la vita di un mortale. Gli dei andavano rispettati ma soprattutto temuti. Era come se i genitori a quell'età avessero premura di terrorizzare i bambini, con queste storielle, perché era sempre meglio avere paura degli dei piuttosto che non averne affatto.

Anche Edna credeva fortemente nell'esistenza degli dei. L'unico problema era che a volte iniziava a pensare, e mentre pensava si diceva che non era possibile che ci fossero creature divine che interferivano nella vita degli uomini se lei non era mai riuscita a vederli.

Non aveva mai cercato una soluzione da qualcuno, neanche da Socrate, perché sapeva che tutti le avrebbero dato la stessa identica risposta. Col tempo aveva maturato così tanti dubbi che aveva preferito tenersi lontano da quei discorsi; gli adulti le complicavano sempre le idee, e lei di idee ne aveva fin troppe.

Fin quando, poi, non era successo quel che era successo: la strana magia del lago. Quel momento era stato come una corda che si spezza, una goccia che fa traboccare il vaso, una torre che crolla. Non poteva più fare finta di niente.

Ed ecco spiegato il motivo per cui Edna, in piena notte, scalza e con un capretto sulle spalle, si ritrovò di nuovo sotto le colonne del Partenone.

Il capretto l'aveva rubato da una stalla, la prima che aveva visto durante il tragitto. Ci aveva messo un po' a prenderlo in braccio, dato che qualunque suo movimento lo faceva belare disperato, e proprio quando aveva visto la luce di una finestra della casa accendersi, l'aveva afferrato per le zampe, se l'era messo sulle spalle e aveva iniziato a correre. Tanto sarebbe morto comunque, non serviva farlo stare comodo.

Se lo sarebbe volentieri risparmiato, ma non essendo mai stata in un tempio -per celebrazioni religiose, s'intende- non sapeva come si facesse a stabilire un contatto col dio, e pensava che il sacrificio di un capretto avrebbe fatto piacere ad Atena.

Varcò la soglia un passo alla volta, e notò che stranamente, non appena il silenzio del tempio li avvolse, il capretto smise di belare. Si guardava intorno terrorizzato.

Edna non aveva paura, dopotutto c'era già stata in quel luogo. Era tutto uguale a come l'aveva lasciato l'ultima volta: i quattro bracieri ai lati delle colonne erano accesi per riscaldare la cella e illuminavano di riflessi dorati le statue con le mani rivolte verso il centro, un leggero odore di incenso profumava l'aria, la piscinetta d'acqua era piatta e cristallina. Persino la statua di Atena non era cambiata affatto, la guardava esattamente nello stesso modo in cui l'aveva guardata l'ultima notte che era stata lì: con le ciglia aggrottate e le labbra piegate all'ingiù, quasi con un certo rancore.

Ogni suo passo creava una flebile eco, come se avesse delle suole di legno sotto le scarpe. Arrivata poco prima della piccola piscina si inginocchiò per terra, e fece scendere il capretto dalle spalle. La fissava con gli occhi lucidi, ricominciò a belare.

<<Andiamo, lo sai che non fa piacere neanche a... EHI! DOVE VAI?! TORNA QUA!>>

Gli aveva appena lasciato andare le zampette e già il capretto si era risollevato in piedi e le era sfuggito dalle mani. Le passò sotto il braccio e corse via, verso l'uscita.

<<VIENI QUI, DAI!>> ma il capretto era già scomparso. Aveva salito tutti quegli scalini con un peso sulle spalle per niente.

Adesso si chiedeva cosa avrebbe dovuto fare in quel tempio, da sola e senza neanche un animale da sacrificare. Come se non bastasse iniziava anche a soffiare un vento freddo, lassù, e lei non aveva addosso nient'altro che un vestito di lino.

GHIGHNOMAIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora