Chariton aveva ormai un mese e qualche giorno.
Tutta la casa, da un mese e qualche giorno, era viva in funzione di quel bambino.
Danae lo aveva scoperto dopo una settimana il suo nome. Era rimasta a letto senza riuscire a muoversi, senza riuscire a prenderlo in braccio, senza riuscire a vederlo.
Cassandra le portava ogni giorno un po' di zuppa da mangiare, acqua fresca, vestiti puliti, e mentre Danae era ancora incosciente le medicava la ferita. Sapeva che non farlo subito significava lasciare che l'infezione si espandesse. Aveva visto una sua amica morire per un taglio fatto male, che sembrava quello di un macellaio.
Anche quando Danae era riuscita a svegliarsi, aveva parlato poco. Guardava Cassandra fare ciò che doveva, e un istante dopo fissava il soffitto. Le dava fastidio sentire le urla del neonato fuori dalla porta, che voleva il latte. Cassandra urlava a Glauco di portarlo via, che sarebbe arrivata lei ad allattarlo non appena avesse finito. Non le chiedeva più se se la sentisse di allattarlo lei: sapeva che non le avrebbe risposto, come a tutte le altre domande.
<<Come sta?>> le chiedeva Glauco quando usciva dalla stanza, cercando di sbirciare dentro, ma senza riuscirci. Cassandra scuoteva la testa, riponeva le lenzuola sporche nella cesta della stanza accanto e si faceva consegnare il bimbo fra le braccia.
<<Dalle ancora un po' di tempo. È normale che... sì, aspetta tu, ora mangi. Un attimo, fammelo prendere bene...oplà! Dicevo, deve solo abituarsi all'idea del bambino, prima o poi... sì, ho capito, cosa piangi a fare? Buono, buono. Pappa, come dici? Pa-ppa, pa-ppa. Andiamo a fare la pappa. Scusa, torno appena ho finito.>>
Glauco pensava che non si sarebbe mai abituata se il bambino non glielo portavano mai, però.
Amos gli sconsigliava di entrare, diceva che secondo lui aveva bisogno di stare da sola. E secondo Glauco era una grande idiozia. Per cui, tutte le volte che poteva, si intrufolava nella piccola stanza che odorava ancora un po' di sangue. Ci parlava con Danae, ma lei rispondeva a monosillabi.
Ti senti meglio? Sì. Riesci a camminare? Non lo so. Hai visto che bello il bimbo? Non l'ho visto. Ti va se te lo porto? Ora è con Cassandra, ma posso chiederglielo qualche istante, il tempo di stare un po' qui, magari finisci anche di allattarlo tu e...
No.
Lo vedrò. Quando sarà necessario.
Non era tanto sicura di volerlo con lei, però. Tenerlo in braccio, sentire i suoi strilli, dargli la tetta e farsela succhiare come fosse una sanguisuga. Di quello se ne stavano occupando Cassandra e le altre serve.
Era lui che l'aveva costretta a stare a letto. Era lui che le aveva procurato quel taglio enorme sotto la pancia che bruciava ogni volta che provava a muoversi. Era lui che non la faceva dormire, anche se non dormiva assieme a lei. E più gli stava lontano, più Chariton sembrava volerla punire, da dietro la porta, con le sue urla agghiaccianti. Come se capisse il risentimento di sua madre e volesse rivendicare il posto che gli spettava di diritto, mentre però era fra le braccia di qualcun altro che lo accudiva certamente meglio di come avrebbe fatto lei.
Galene non le aveva spiegato niente.
Sposati e avrai fatto il tuo dovere. Era da prima della gravidanza che non la vedeva. Probabilmente anche lei aveva paura di guardare sua figlia negli occhi, nella stessa maniera in cui lei rifiutava Chariton.
Ma Chariton era solo un bambino. Era appena venuto al mondo e la persona che avrebbe dovuto proteggerlo di più lo teneva lontano da sé. Si diceva che era per colpa del male che le aveva causato. Forse, aveva paura di non essere all'altezza di quel compito.
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GHIGHNOMAI
Historical FictionSe pensate che siano gli altri a decidere il nostro futuro e a dettarci le regole per vivere, non potete immaginare il disegno che la macchina della vita ha in serbo per ognuno di noi. Edna questo l'ha sempre saputo, ma una ragazza ateniese non può...