🍹Capitolo 13

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La perplessità causata dal mio silenzio che trapela dagli occhi di Riccardo e Thomas, impedisce alla calma di tornare dentro di me. Li giustifico per la loro impossibilità di comprendere la gravosità della situazione, ma il fatto di fissarmi in questo modo non aiuta.

Deglutisco e con la voce che gratta la lingua emetto un debole "Piacere mio".

Alessio trascina a questo punto lo sguardo da me al mio titolare. «Se non ti dispiace comincerei subito con l'intervista così poi lasciamo Thomas e Venere gironzolare per il palazzo mentre tu e io ci ritiriamo per chiacchierare» propone.

«Mi sembra un'ottima idea. Sono passati due anni dall'ultima vota che ci siamo seduti a parlare in santa pace».

Non so se essere felice o intimorita da questa prospettiva. Due amici che si ritrovano dopo così tanto tempo devono avere per ovvie ragioni parecchie cose da raccontarsi. Solo il dubbio che Riccardo possa confidare ad Alessio la sua cotta per me mi fa uscire di senno. E se invece Alessio dicesse a Riccardo di avermi vista in discoteca in atteggiamenti poco ortodossi ed estremamente ammiccanti? Oddio, non ci voglio nemmeno pensare...

«Fantastico» esordisce l'artista. Guarda poi Thomas. «Vedo che hai portato la tua attrezzatura, molto bene. Ludovica accompagnerà te e Venere nella stanza insonorizzata dove abbiamo allestito un modestissimo set». Torna poi a guardare l'amico. «Nel frattempo, fatti pure un giro. Sono curioso di sapere cosa ne pensi dei miei dipinti».

«Con piacere».

Ludovica si posiziona alla mia destra e ci indirizza verso la presunta stanza. Con la coda dell'occhio vedo Alessio raggiungere una coppia intenta ad ammirare uno dei quadri appesi alla parete. Entriamo e il locale è poco più grande del magazzino dove alla Fash teniamo gli oggetti scenografici. La seduta dell'intervistato è una poltrona bianca in pelle lucida su sfondo nero. Per realizzarlo hanno appeso un banale telo a una struttura in metallo. A lato della seduta c'è un tavolino di design con sopra una tazza da caffè vuota e una piantina che già da qui capisco che è finta.

Dopo aver posizionato la strumentazione, Thomas e io ci appollaiamo su due alti sgabelli e Alessio fa il suo ingresso nella stanza a seguire. Si siede, facendo attenzione a non sgualcire il completo sartoriale.

«Veve, mi sono dimenticato il registratore vocale. Lo metti sul tavolino? Dietro alla tazzina, per favore, così non rischiamo si veda durante le riprese».

Smonto dallo sgabello, afferro l'oggetto e obbedisco alle direttive del mio collega.

Sto per posare il registratore vocale sulla superfice d'ebano quando Alessio si pettina il ciuffo all'indietro con la mano destra. Faccio in fretta, mossa dall'imbarazzo, e torno a sedermi al fianco di Tommy il quale estrae dalla tasca anteriore della sua ventiquattrore il foglio con le domande.

«Allora, signor Durand, iniziamo con una classica presentazione. Nome, cognome, luogo di nascita, età e lavoro. Passeremo poi alle domande più interessanti. Mi dica lei quando è pronto».

L'uomo fa un cenno con le dita e l'intervista ha inizio.

«Mi chiamo Alessio Durand e sono nato a Parigi, più precisamente a Île de la Cité, trentacinque anni fa. Ringrazierò per il resto della vita mio padre Alain e mia madre Mariacarla per aver colto, nutrito e assecondato il mio amore per l'arte. Grazie ai valori che mi sono stati impartiti, ho fatto diventare il mio sogno realtà e oggi posso finalmente definirmi artista, collezionista e imprenditore».

Spalanco gli occhi. «Stiamo parlando di quel Durand e quella Baldi?» mormoro a Thomas, sbalordita.

«Proprio loro».

UNO SPRITZ CON VENEREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora