🍹Capitolo 18

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Buio, oscurità, assenza di tutto.

L'assordante silenzio che mi avvolge amplifica il rumore dell'angoscia. Muovo le dita dei piedi infreddoliti circondata dalle tenebre e sento sotto di me la presenza di una superficie liscia. Potrebbe essere un pavimento in parquet come una lastra di ghiaccio. In questo momento è inverosimile per me distinguerne il materiale. Tocco me stessa, appurando che non riconosco nulla di familiare. Persino il mio corpo è estraneo al tatto. Divento irrequieta e comincio a tastarmi in maniera ossessiva rendendomi conto di indossare una sottoveste leggerissima.

Se voglio scoprire dove mi trovo ed evitare di morire assiderata, sono costretta a muovermi. Allungo perciò le braccia per capire se ai lati ci sia qualcosa che delimiti questo nero. Con i muscoli in tensione, le punte delle dita finiscono per toccare qualcosa. Ci appoggio dapprima i polpastrelli poi i palmi. Pareti? L'attimo dopo essermi posta questa domanda tre fasci di luce fendono l'oscurità, illuminando la scena. Il bagliore mi acceca e devo sbattere ripetutamente le palpebre per riuscire a mettere bene a fuoco. Quando riconosco di essere all'interno di un cubo di vetro, il mio battito cardiaco accelera incontrollabilmente.

Claustrofobia, paura eccessiva e irrazionale degli spazi stretti e chiusi. Mia madre ne soffre fin da bambina. Io la prendo sempre in giro quando evita di salire in ascensore preferendo rampe di scale chilometriche. Ma ora, in una situazione dove non ci sono buchi né spiragli, mi sento mancare il fiato e la paura cresce dal petto fino a irradiarsi malevola in tutto il corpo. Inizio a urlare e a sbattere i pugni in questa prigione di cristallo. A ogni colpo si espande un suono simile a quello emesso da un tamburo appena percosso. Nonostante mi infastidisca, aumento l'aggressività dei miei gesti finché non si palesano magicamente Alessio e Riccardo. Fluttuano uno di fronte all'altro illuminati parzialmente da un'irreale luce sprovvista di un punto d'origine.

Mi avvicino al vetro per osservarli meglio e m'impressiono nell'accorgermi che hanno le sembianze di due manichini di pezza. Improvvisamente i miei timpani catturano l'eco di una risata. Ne odo una seconda e poi una terza. A seguire si espande la voce di Alessio che pronuncia la domanda: "credi non ti abbia riconosciuta?" e successivamente la frase di Riccardo che recita: "ti supplico di non pretendere che io provi indifferenza nei tuoi confronti". Poi altre frasi dette da loro due a me in differenti contesti. Una mitraglia di parole che insieme non hanno alcun senso, ma prese singolarmente tormentano la parte più vulnerabile della mia anima. Tutto questo senza che le loro bocche si muovano.

Rimpiango il silenzio precedente e mi tappo le orecchie con le mani.

Solo quando il chiasso cessa distanzio i palmi e torno a guardarli. Hanno mutato posizione mantenendo però l'espressione immobile e apatica di prima. Ora impugnano un coltello ciascuno. Dal nulla si aziona una melodia classica e i due iniziano a girarsi attorno. Parte una lotta che non assomiglia a un vero combattimento ma piuttosto a una macabra danza.

Disutile e inerme, assito ad Alessio che pugnala Riccardo al fianco. Nello stesso momento una fitta lancinante mi stronca il respiro. Osservo con gli occhi sbarrati la ferita di Riccardo da dove sta fuoriuscendo dell'ovatta. Tremo mentre ripongo l'attenzione sul mio fianco. Una ferita da taglio mi ha squarciato la pelle e ora la vestaglia è macchiata di rosso. Alla vista del sangue, un brivido mi attraversa la spina dorsale.

Sono collegata a Riccardo?

Un colpo che Alessio non riesce a parare e il coltello gli si conficca all'altezza della spalla. Urlo nonostante Riccardo abbia inferto la coltellata a lui e non a me. Il dolore che provo su me stessa è tuttavia troppo reale per ignorarlo. Ovatta contro sangue.

Sono collegata a entrambi.

Torno a guardare i due uomini che nel frattempo hanno ripreso a guerreggiare a ritmo di violini e pianoforte. Si procurano ferite a vicenda, ininterrottamente. Chiedo loro di smetterla, ma non mi sentono da dentro questo cubo. A forza di pugnalate, la tunica che indosso da chiara è divenuta scarlatta. Sanguino dalla testa ai piedi e l'agonia mi strazia. Con le lacrime agli occhi caccio un urlo così potente da crepare il vetro che mi separa da Riccardo e Alessio i quali smettono di lottare ormai sgonfi a causa della quantità di imbottitura fuoriuscita dai loro corpi.

UNO SPRITZ CON VENEREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora