CAPITOLO 49

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Sallustio diceva: "faber est suae quisque fortunae" (ognuno è artefice del proprio destino).

Quante volte ci siamo sentiti dire e ripetere come un mantra "chissà cosa ha in serbo per te il futuro" oppure "se deve accadere accadrà", come se ormai la nostra vita fosse tutta programmata, come se l'ordine degli eventi della nostra vita fosse già stabilito. Ma da chi? Chi è che gioca a scacchi con il nostro futuro? Chi siamo noi: la torre, la regina o il re? Quale pedina della scacchiera?

La verità è che il destino è solo una scusa, le pedine rimarranno sempre pedine e il futuro non è scritto da nessuna parte. Non esiste niente di letteralmente fatale, se non le nostre azioni quotidiane. E la nostra azione ne scaturirà un'altra, poi un'altra, ed un'altra ancora. 

Ma il primo movimento sulla scacchiera lo fa il giocatore, non la pedina. Non siamo noi le pedine, noi siamo i giocatori. Il destino lo creiamo noi, e non dovremmo permettere a nessuno l'onere di modificarlo.

Solo che Mayle adesso si sentiva un pedone; non il re o la regina ma un pedone qualsiasi che aspettava lo scacco matto per uscire di scena in silenzio.

Era rimasta seduta sulla poltrona da quando Dominc era uscito dalla casa e l'unica cosa che adesso interrompeva la sua quiete era il rumore delle sirene. Cosa avrebbe dovuto sperare? Che la polizia catturasse Cristian? Che Marcus e gli altri stessero bene?

"Che Will fosse ancora vivo."

«Lo è.» borbottò mettendo a tacere la sua coscienza.

Ormai erano ore che non riusciva a pensare più ad altro. Socchiuse gli occhi e un'ondata d'immagini le invase l'interno delle palpebre: le bugie, la sua vicina, il matrimonio, Cristian, la mano di Lucas che la colpiva, il rumore dello sparo, il corpo di Will a terra.

Si voltò verso la cucina ed osservò la pistola che Dominic aveva lasciato sul tavolo. Il suo secondo pensiero fu quello di mettere fine alla sua sofferenza prima che Cristian fosse entrato da quella porta per portarla via.

Probabilmente perse la ragione per qualche secondo, anche se a lei sembrò la fine di tutto, ma non si alzò dal divano. Era stanca, esausta.

Ormai il cielo si era scurito del tutto e l'appartamento sembrava trovarsi avvolto da una nube grigia. Più volte le parve di vedere delle figure incappucciate muoversi fuori la finestra, ma non ne era sicura. Era difficile distinguere qualcosa con chiarezza, guardando da quel vetro sudicio. Si alzò per spiare fuori, avvicinando il viso al vetro, facendo attenzione a non toccarlo.

Un lampo improvviso squarciò il cielo a metà. La ragazza sobbalzò tornando a sedersi sulla scomoda poltrona.

«Voglio tornare a casa.» sussurrò prima di chiudere gli occhi e di bearsi del rumore della pioggia che batteva contro i muri.



Sapere con esattezza cosa ci riserva il futuro fra 10, 20 anni è praticamente impossibile. Si possono fare tutte le previsioni del caso ma la certezza che l'ordine degli eventi col tempo rimarrà quello nessuno ce l'ha.

Will in quel momento si sentiva chiuso in una bolla. Aveva la bocca secca e rasposa, la gola dolorante.

«Che bisogno c'era di farmi così male? Se mi uscirà un livido, sappi che te lo tornerò. E con gli interessi.» borbottò una volta uscito dal porto.

Gli agenti di polizia stavano facendo salire tutti nei furgoni per portarli alla centrale. Erano stati strascinati tutti fuori dal porto con una rapidità tale che a Will sembrarono solo pochi secondi. Anche Cristian, che non aveva proprio una bella cera, era passato davanti a lui. Si erano scambiati un breve sguardo, ma che forse voleva significare più di quello che credevano.

L'ambulanza si era appena fermata lì davanti per portare Lucas e un paio di russi, che erano stati feriti nello scontro, in ospedale.

«Lasciatemi.» borbottò Lucas dimenandosi.

«È incredibile come Lucas non abbia capito nulla. Sono quasi quattro anni ormai.» disse l'agente strascinando violentemente Will in avanti.

Lui imprecò di rimando. «Lo sapevo che in qualche modo te ne saresti approfittato.»

L'agente si tolse il cappuccio sorridendo. «Avevi ragione, il tuo piano è stato molto più divertente.» ridacchiò Blake togliendogli le manette. «Come facevi a sapere che nelle bustine di Cristian ci fosse la farina?»

Will si massaggiò i polsi. «Non lo sapevo, ho solo avuto fortuna.»

«Se non fossimo arrivati in tempo avrebbero colpito te, non Cristian.»

Will alzò le spalle. «Il trasmettitore serviva proprio a questo.» rispose cacciando la scatolina metallica dalla tasca.

«Vado con gli altri in centrale.» rispose raggiungendo l'ultimo furgone ancora lì. «Ah Will» si bloccò voltandosi. «Mayle ti sta aspettando nella vecchia casa abbandonata.»

E fu così che i piedi di Will iniziarono a muoversi veloci. Un lampo squarciò il cielo e la pioggia iniziò a scendere veloce per strada. Will odiava camminare sotto la pioggia ma in quel momento ogni suo capriccio gli sembrò superfluo.

"Sta bene, deve stare bene" pensò.

L'ultimo ricordo che aveva di Mayle dopo lo sparo era Lucas che l'afferrava dietro il container. Ma ormai non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nulla.

Will correva, veloce, e si rese conto di essere arrivato solo quando ormai era davanti al vecchio portone. Una piccola parte di lui, la più codarda, gli stava dicendo di andarsene da lì ma ormai non aveva voglia di ascoltare più nessuno.

Afferrò la chiave e la girò nella serratura. L'appartamento era avvolto nel buio, distinguere qualcosa era quasi impossibile. Non ricordava dove fosse l'interruttore così avanzò lentamente tastando il muro. Quando trovò il pulsante tirò un sospiro di sollievo prima di premerlo.

E solo nel momento in cui il salone s'illuminò, Will vide Mayle, in piedi, di fronte a lui che puntava la pistola nella sua direzione.

La ragazza stava tremando. Appena aveva sentito dei rumori era corsa in cucina ed aveva afferrato la pistola. Aveva pregato che Cristian non fosse venuto a prenderla. E adesso, che si trovava faccia a faccia con Will, non riusciva più a muoversi. Continuava a tenere la pistola puntata contro di lui, come se fosse ipnotizzata.

«Sei scappata prima che potessi salutarti, così ho pensato di venire qui per fare le cose per bene.»

Passarono alcuni minuti prima di realizzare che Will fosse realmente davanti a lei, vivo. Abbassò le mani lasciando cadere la pistola a terra.

«Will» sussurrò lei avvicinandosi. «Sei vivo.»

«Perché avevi seriamente dei dubbi al riguardo?» ridacchiò andandole incontro.

«Giusto qualcuno.» sorrise lei arrivando ad un millimetro da lui. «Ho visto il proiettile colpirti e il tuo corpo cadere a terra.»

Will si aprì la maglia mostrando il giubbino antiproiettile. «Non si va mai in missione senza l'attrezzatura.» disse lui. «Tu stai bene?» continuò indicando il suo viso rosso.

Mayle annuì senza riuscire a parlare e si buttò fra le sue braccia. Will l'afferrò stringendola a sé.

Non era un abbraccio come gli altri. Questo gesto stava trasmettendo protezione, fiducia, comunicazione e, anche se nessuno dei due ne fosse consapevole, amore. Non seppero per quanto tempo rimasero immobili in quella posizione, con la testa di Mayle poggiata sul petto di lui.

Mayle si staccò per guardarlo negli occhi. «È finita?»

Will annuì. «Credo meriti di sapere un po' di cose. Vieni con me.»

PROMISEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora