CAPITOLO 26

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«Non capisco perché con questa pioggia volete andare a mangiare al sushi.»

Will era ancora al magazzino mentre discuteva con Carlos, Blake e Marcus su dove sarebbero dovuti andare a mangiare stasera.

«Perché ne abbiamo voglia» rispose interrogativo Blake alzando le spalle. «Da quando l'acqua per te è un problema? Non hai mai cenato a casa nelle ultime settimane, come mai tante storie adesso?»

Marcus sollevò le labbra in un sorrisino ma non disse nulla, gesto che però non passò inosservato a Will.

«Dai non fare la femminuccia e andiamo.» ribatté Carlos avviandosi col gemello alla macchina.

Marcus continuava a scrutare il viso di lui.

«Avanti parla. Mi stai soltanto innervosendo.» lo guardò con gli occhi socchiusi.

Marcus ridacchiò. «Non c'è nulla di male nel dire che vuoi tornare all'appartamento da Mayle» gli lanciò un'occhiata di traverso.

Le parole dell'amico fecero rimanere Will impietrito. Pensò a una serie di cose che avrebbe voluto dire, ma non le disse. «Non voglio tornare a casa per lei.» borbottò andando verso il lato opposto in cui si stavano allontanando Carlos e Blake.

«Non fare cazzate.» urlò Marcus.

"Troppo tardi." pensò prima di estrarre le chiavi della macchina dalla tasca.


Si dice che la pioggia sia il tempo atmosferico che più coincide con lo stato psicologico della tristezza. Mayle era affacciata al balcone della sua camera intenta a fissare le gocce che facevano a gara nello scendere giù dal vetro. Aprì il balcone e una ventata d'aria le raffreddò il viso. Alcune gocce d'acqua la colpirono ma continuò a tenere aperto. Le strade erano ormai deserte e bagnate dall'acqua e le poche persone rimaste camminavano frettolose per tornare nelle loro abitazioni. Le persiane delle case di fronte erano ormai chiuse conferendo alla strada un'aria ancora più triste. Gli alberi che Mayle intravedeva si muovevano lentamente accompagnati dal vento in un movimento leggero e continuo. Alcune foglie cadevano, altre tentavano di rimanere attaccate.

Mayle si sentiva esattamente così, come l'ultima foglia attaccata su un ramo consapevole che sarebbe bastato un soffio più forte per crollare, ma con la voglia di resistere. 

Era tornata a casa nel tardo pomeriggio dopo aver finito l'ultimo laboratorio della giornata. Appena aveva messo piede nell'appartamento aveva sentito un tuono squarciare il cielo che la fece sobbalzare. Aveva trovato la casa fin troppo silenziosa, segno che si trovava da sola. Era corsa in camera per affacciarsi alla finestra e dopo essersi fatta un bagno veloce era rimasta tutto il tempo seduta vicino il balcone ad osservare il cielo buio. La sua testa era colma di pensieri poco felici. Il ragazzo vestito di nero che aveva visto continuava a torturare la sua mente tanto che pensò d'esserselo soltanto immaginato. Eppure, la sensazione di conoscerlo non l'abbandonò. Un altro lampo squarciò il cielo e chiuse il balcone sedendosi nuovamente sul pavimento freddo.

Una lacrima le sfuggì involontaria dal viso ma la raccolse subito. In questo momento sentiva il bisogno di suonare come non mai. Le mani le formicolavano e senza rendersene conto iniziò ad improvvisare un motivetto sulle gambe. Quando abbassò lo sguardo si bloccò fermando la mano. I ricordi invasero la sua mente e sospirò. Tornò a voltare lo sguardo verso il cielo grigio colmo di nuvole nere.

"Chissà se i miei pensieri riescono ad attraversare la pioggia ed arrivare fino a te, papà." Sospirò.

«Capisco perché l'hai fatto ma non posso continuare. Spero mi perdonerai.»

PROMISEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora