Mirabel si fermò sulla strada per controllare che l'ingresso della scuola fosse libero da oscure presenze; era il brivido famigliare dietro la nuca a suggerirle che Shady era vicino e, infatti, non si era sbagliata. Poco dopo, lo vide comparire sul lato opposto della strada con Becca Stevenson e si nascose subito dietro il tronco di un albero, non avrebbe saputo dire se per evitare di essere vista e disturbata o se per libera di vedere del tutto indisturbata.
Più che parlare, sembrava che stessero discutendo. Becca gli aveva stretto una mano sul braccio e lo stava guardando con due ciglia ripetutamente sbattute alla "sbattimi" che le avevano fatto venire voglia di strappargliele una a una; Shady le stava di fronte, di spalle rispetto a lei, sicché non era riuscita a decifrare l'espressione del suo volto. Tuttavia, le bastò notare la rigidità del suo corpo per dedurre che gli ammiccamenti di Becca non stavano sortendo su di lui altro effetto che infastidirlo.
Mirabel tirò un inspiegabile sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto interessarle quello che faceva o non faceva Shady "non so chi sono né cosa voglio" Wells con quella gallina di Becca Stevenson. Non dopo tutto quello che si erano detti e fatti sabato. Le difese. Il letto. Le offese. La porta sbattuta in faccia. Lui che restava indifferente. Lei che se ne dava con addosso tutto il peso della sua vergogna.
Eppure, rimase lì a guardarli, nascosta dietro una sequoia come una gatta troppo curiosa, finché non li vide infilare il vialetto della scuola una dietro l'altro, seguiti da un Matt ansimante e... ansioso. Poveretto. Quel lunedì sarebbe stato un inizio di settimana difficile per lui. E per Mercy. E per Celeste. E per i genitori di Celeste.
"Che fai, giochi a nascondino?"
Mirabel si girò di scatto verso la sua migliore amica che, proprio in quel momento, era scesa dal SUV bianco parcheggiato a un metro da lei; non appena incontrò il suo sguardo, però, abbassò il suo.
"Tutto bene?", la sentì chiederle.
Mirabel annuì.
"Sei diventata muta oltre che invisibile?"
Mirabel uscì allo scoperto con un cenno di sorriso. "C-come stai?"
"Così..."
Che nel gergo orgoglioso di Celeste significava: "Ce l'ho con te, ma non mi abbasserò a dirtelo."
"Scusa se non ti ho chiamata in questi giorni, io..." Mirabel esitò in cerca di una scusa che, a parte le scuse che sapeva di doverle fare e che le aveva già fatto, sarebbe suonata ridicola agli occhi di una persona che la conosceva meglio di se stessa. "A dire il vero, non ho scuse. Quindi, ti prego di accettare le mie scuse."
"Accettate", rispose lei, ma senza sorriso. "Immagino che avrai avuto altro a cui pensare."
La testa di Mirabel scattò in alto. "Sì, sono successe delle cose che..."
"Non mi hai detto", concluse Celeste - e no, non era una domanda.
"Non solo a te, purtroppo."
"Wow", rispose lei, affatto consolata dalla sua frase. "Ho perso anche l'esclusività di essere esclusa, a quanto parte."
"Non era mia intenzione escluderti e... mi dispiace di averlo fatto." Non avrebbe saputo che altro dirle, d'altronde - una cosa che le stava succedendo un po' troppo spesso ultimamente.
"Anche a me. Ma mi dirai tutto più tardi, okay?", Celeste la prese per mano. "Entriamo in questa scuola di merda, adesso."
"Cece!" Quella era Evelyne, sua madre che, a metri di distanza da loro, aveva comunque un orecchio bionico per le parolacce della figlia.
Celeste alzò le spalle. "Ho detto solo la verità."
"Sì, ma c'è modo e modo di dirla. E non mi sembra che oggi sia il caso di farci arrabbiare." Quello era Peter, suo padre che, per quanto cercasse di essere severo, ammorbidiva sempre i suoi rimproveri con occhi dolci.
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Come un'ombra col sole
Romance[COMPLETA-IN REVISIONE] Mirabel è quella ragazza che porta un raggio di sole ovunque vada. Qualcuno, a scuola, la definisce stramba solo perché ama suo padre, i loro ricordi, il suo paese raccolto tra i monti, il suo vecchio cane Cujo e la sua amica...