Buchi neri

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Mirabel si era arresa al desiderio.
Di lui.
Di vederlo.
Di toccarlo.
Di sapere che lui era ancora fermo lì, al suo fianco. 

Aveva cercato e trovato il diario che Shady le aveva regalato, quello con l'unicorno pazzo in copertina, e si era messa a scriverci dentro cose con un sorriso scoperto sul viso nel ripercorrere a ritroso le tappe travagliate della loro "storia", lasciando la penna libera di scorrere sul foglio senza alcuna dietrologia, sospinta unicamente dal ritmo del suo cuore e del suo stomaco.

Una, due, tre pagine fitte di inizi e d'indizi e di scintillii da attriti di corpi liquidi, intrecciati, che l'avevano fatta arrossire delle sue stesse sconcezze. Era bello, Shady. E arguto. La sua lingua, il modo di usarla con lei e su di lei, era stata la sua condanna. Gliel'avrebbe strappata a morsi, lei, quella lingua che sapeva essere più sferzante di una corda di juta, più dolce di una corda di violino e più spinta, spinata, di una corda del diavolo.

Era stata la sua lingua da serpente, così accordata e sapiente, ad attrarla e tirarla verso l'alto, e poi verso il basso, in una trappola scivolosa e seducente di umiliazione e di piacere. Era davvero bravo, Shady, a usare la sua lingua in tutti, e su tutti, i sensi. Un abile oratore, un accordatore di parole insignificanti su note di significanti, un prestigiatore di senso e di sensi che invadevano la mente di sensi per diventare un senso unico verso il sesso. 

Ed era stato a quel punto che la sua penna puntigliosa, inizialmente sospinta solo dal ritmo del suo cuore e del suo stomaco, si era impuntata: sull'incapacità della sua mente - troppo oppressa e infuocata dai sensi - di mettere bene a fuoco il senso di quello che lui aveva detto e non detto nel tempo. 

C'erano dei buchi tra le righe dei loro dialoghi, spazi mancanti che lei aveva finito per riempire di nuovo con disegni di buchi neri, di stelle morte e giganti, con intorno delle spirali di fuoco a sonagli, senza spiragli, che avevano annullato gli spazi bianchi del foglio. 

Avrebbe tanto voluto riempirli di frasi desiderate, e desiderabili, quei buchi bianchi tra le righe dei loro dialoghi. E, invece, si era limitata a immaginarsele, quelle frasi che avrebbe tanto voluto sentirsi dire, anche se la sua fervida immaginazione non era bastata a evitare che quei buchi neri si allargassero sul foglio né che le loro spirali di fuoco a sonagli senza spiragli si attorcigliassero in un vortice di spire, dubbi e discese infernali negli abissi delle sue insicurezze. 

E allora il suo sguardo era caduto come una stella cadente sul cassetto in cui era riposto il diario di sua madre Halley e aveva pensato che là - nascoste fra le pagine ingiallite sotto un tulipano impolverato dal tempo e rispolverato fuori tempo - avrebbe potuto trovare alcune delle risposte che stava cercando. 

L'aveva tirato fuori dal cassetto, quel diario, e sfogliandolo a ventaglio ci aveva sentito dentro il profumo salato d'un cuore ferito, infranto dal suo stesso sogno, e riconosciuto il tratto immaturo e sbiadito dalle lacrime di quella che, nella maturità, sarebbe diventato il ri-tratto di sua madre.

Era stato per una semplice associazione di parole, che Mirabel aveva tratto, e tratteggiato, una conclusione da ritrattazione con se stessa sul fatto che no, non avrebbe potuto leggere le parole affatto leggere con cui sua madre aveva tratto, ritratto e ritrattato la conclusione sulla sua storia d'amore. Non prima di aver parlato con Shady, almeno, per assicurarsi che lui fosse ancora lì, fermo al suo fianco e nelle promesse che le aveva fatto prima che lei scendesse a compromessi con Michael. 

Non l'avrebbero sollevata né risollevata né riscossa dall'abisso delle sue insicurezze, quelle parole ingiallite, impolverate e sbiadite di lacrime; anzi: l'avrebbero scossa e oppressa sul pavimento, bocconi su bocconi impolverati di grigio.

In quel momento, aveva bisogno di continuare a brillare.
Di uscire a rivedere le stelle per riuscire a sentirle dentro.  
Di arrendersi al desiderio.
Di lui.
Di vederlo.
Di toccarlo.
E del suo cuore.
E del suo stomaco.
E del suo cervello.
E dell'unione da riunione tra ragione e sentimento.

Come un'ombra col soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora