Ritorni

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Sabato pomeriggio, dopo aver trascorso una nottata insonne tra riflessioni nella sua testa e pagine di diari in cui era riflessa la testa di Mirabella, Shady si alzò dal letto e, spinto da un istinto che si raccontò essere mosso dal puro egoismo, sgattaiolò fuori dalla reggia dei nonni per tornare nel bosco.

Le loro orme del pomeriggio precedente erano state cancellate da una neve che non aveva mai smesso di scendere sicché, per non rischiare di perdersi in tutto quel bianco senza avere nemmeno un segnale rosso a indicargli il pericolo, Shady si fermò in mezzo alla radura e, con gli occhi chiusi e le orecchie tese su ogni scricchiolio della natura, immaginò di trovarsi in mezzo a un incrocio trafficato di Los Angeles.

Il ronzare intermittente del semaforo. Il rombare sommerso del traffico. Il frusciare del vento trascinato sul cemento. Lo scampanellare del tram e della metro. Concentrazione. Senso dell'orientamento. Coprire le proprie tracce per sparire senza farsi scoprire. Scoprire le tracce degli altri per farli sparire o per capire dove fossero spariti. Anche questo gli avevano insegnato a fare i lunghi anni trascorsi nella città degli angeli che di angelico aveva solo il nome.

E, se ce l'aveva fatta lì, in mezzo a quel caos di luci, di smog e di asfalto, a coprire le proprie tracce per sparire senza farsi scoprire né perdersi per la strada ma, anzi, riuscendo sempre a ritrovare la sua strada, ce la poteva fare anche adesso, nell'aria tersa e nel silenzio teso di quel bosco immerso nell'oscurità, a ritrovare il suo filo di lana rosso. 

La parte più difficile, come sempre, veniva all'inizio: riuscire a ritrovare il punto esatto in cui aveva lanciato quel cappello del cazzo in un labirinto di pini anonimi e tutti identici che, stavolta - non fosse altro che per un fattore di esperienza - gli sembrò ben peggiore di un labirinto di strade tutte note diverse ognuno col proprio nome.

E aveva anche ricominciato a nevicare.

Shady camminò per più di un'ora. Sbagliò strada. Fece dietrofront. Sbagliò di nuovo. Rifece dietrofront. Si disse che sarebbe tornato indietro ma, proprio quand'era sul punto di cedere al congelamento, ecco che vide finalmente il punto dove aveva lasciato Mirabella a piangere tutto il suo dolore. Corse verso il burrone e lì, complice la luce del giorno, scorse un coso rosso appeso a un ramo spoglio.

Si fermò sull'orlo del burrone per studiare il percorso che lo separava dall'obiettivo: sarebbe dovuto scendere di qualche metro nel precipizio stando bene attento a dove metteva i piedi per non scivolare sul ghiaccio, sugli aghi sparsi dei pini o sulle suole lisce dei suoi anfibi. Quindi, giunto all'altezza dell'albero, sarebbe dovuto salire su uno sperone di roccia sporgente per allungare una mano sul ramo.

Poteva farcela, passo dopo passo, lentamente, trovando appoggio sulla neve fresca e stando più concentrato sul segnale rosso sopra la sua testa che sul vuoto nero sotto i suoi piedi. Allungò il destro oltre l'orlo del burrone. Poi il sinistro. Perse l'equilibrio e dovette aggrapparsi a un cespuglio di spine che gli riaprì il taglio sulla mano. Imprecò contro Pinky-Pitbull, Mirabella e le sue stesse idee del cazzo.

Si fermò a riprendere fiato. Si rialzò. E, col sudore freddo sulla fronte, raggiunse lo sperone di roccia. Ne studiò la superficie col piede sinistro per accertarsi che non fosse ricoperta di ghiaccio. Ci salì sopra. Allungò il braccio, restando in bilico sul vuoto. Infine, con la punta delle dita insensibili, riuscì finalmente ad afferrare quel cappello rosso del cazzo.

Non tutto intero, però. Perché quando lo tirò verso sé, il pompon rimase attaccato al ramo con un esile filo che si mise a oscillare nel vento e, mentre lui se ne stava lì a pregare che restasse fermo lì, lo vide rotolare più in basso di dov'era arrivato. 

Avrebbe dovuto aspettarselo, cazzo. Dio non l'aveva mai ascoltato, quindi perché avrebbe dovuto farlo proprio in quel momento? Fan culo a Mirabella e al suo pianto immotivato. 

Come un'ombra col soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora