Nient'altro che rabbia

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Rabbia.
Questo Mirabel aveva provato ore dopo che V. era uscita dalla sua stanza, e poi dalla sua casa, con i suoi vestiti appesi alla spalla. 

Un'altra notte insonne - priva di note, fitta di fitte al cuore - passata a girarsi e rigirarsi in un letto solitario col solo desiderio di scendere da quel letto per andare da lui, tirarlo giù dal suo, di letto, e costringerlo a dirle la verità sulla ragazza con cui, probabilmente, lo stava condividendo. 

Ma, dopo tutto quello che V. le aveva detto, non avrebbe avuto alcun senso seguire la scia di un desiderio che, la sera prima, l'aveva spinta a uscire da quello stesso letto per andare a cercarlo e assicurarsi che lui fosse ancora lì, fermo al suo fianco, dove forse non era mai stato. Dar retta al suo cuore e al suo stomaco, stavolta, sarebbe stato solo un errore.

Shady non aveva fatto altro che riempirla di bugie. E Mirabel aveva pianto a lungo, per quelle promesse mancate da lingua sapiente, suadente, di serpente. Rintanata in un buio senza stelle, aveva lasciato che il suo tormento fluisse all'esterno come un torrente salato di lacrime su delle ferite aperte, impossibili da arginare nella feritoria di un sorriso più largo del suo viso.

C'era un buco immenso dentro di lei. Una stella morta, gigante, che aveva riempito gli spazi vuoti tra i suoi organi e quelli bianchi tra le righe dei loro dialoghi. Avrebbe voluto strapparle una volta per tutte le pagine del diario che Shady le aveva regalato, laddove la sua penna - libera di scorrere e di discorrere sul foglio - aveva scritto delle parole sconce, sconciamente speranzose, sui loro corpi nudi ch'erano diventanti uno. Invece, aveva finito solo per riempirle di nuovo con dei buchi neri al posto di occhi e con spirali di fuoco a sonagli, senza spiragli, involute nei pizzi di completini intimi, sexy, ancora più sconci delle sue stesse parole speranzose.

Non c'era niente che Shady avrebbe potuto dire né fare per convincerla a tornare sui suoi passi. Niente avrebbe potuto spegnere la rabbia che le si era accesa dentro quando, dopo aver passato ore a compiangersi inutilmente, Mirabel aveva ripensato alle parole V., ogni lettera un coltello, mentre lei era rimasta lì, muta e scioccata, le spalle curve sotto il peso della verità e la faccia di una che era sul punto di vomitare.

Non le parole argute, sferzanti, accordate sulle corde vibrante del suo cuore con cui era sempre riuscito ad attrarla nella sua trappola scivolosa, altalenante, di piacere e umiliazione. Non il silenzio immobile, di occhi e di labbra, con cui aveva finto di ignorare loro due, in un letto, con le labbra suggellate dai baci e gli sguardi persi in una penombra di desideri.  

Non c'era frase desiderata o desiderabile e immaginata o immaginabile né tocco di lingua o di dita o di pelle che avrebbe potuto farla ricadere in quel torrente. "Tutto scorre", aveva detto un saggio; e anche la rabbia, avrebbe aggiunto lei. L'avrebbe alimentata, quella rabbia; l'avrebbe lasciata scorrere liberamente nelle vene per tirarsi fuori da quel torrente salato di lacrime e rimanere seduta lì, in riva, nella fremente attesa di vederle scorrere davanti, trascinato dalla nella corrente degli eventi, il cadavere dell'unico, vero, colpevole. 

Era come se Shady fosse riuscito a tirarle fuori in un botto tutto quello che lei aveva soffocato dentro per anni, celato sotto un sorriso che lui aveva spento. Non aveva bisogno di scorrere le pagine ingiallite e impolverate, del diario di sua madre - fra parole consapevoli e tratti sbiaditi di cuori feriti e di sogni infranti, per trarre le sue conclusioni sulla frequentazione con Shady.

Non era lei, l'unica, ad avere dei buchi dentro, delle mancanze da riempire con bugie bulimiche. Basta con quei vortici da illusioni che l'avevano convinta a giustificare l'ingiustificabile e che le avevano impedito di vedere la realtà. Basta con la gelosia da desiderio non ricambiato e con le visioni masochiste da immaginazione troppo fervida e sinapsi masochiste. 

Come un'ombra col soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora