Fughe

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Sabato pomeriggio, dopo aver trascorso una nottata insonne tra riflessioni nella sua testa e sulla testa di Shady, Mirabel decise che starsene lì, a distribuire torti e ragioni o a chiedersi cosa non fosse andato in lei, l'avrebbe trascinata in un loop mentale di rabbia, pentimenti e sensi di colpa. Sarebbe uscita a fare una passeggiata per rinfrescarsi le idee, invece, e ne avrebbe approfittato per pranzare nella casa nel bosco.

Fuori intanto aveva ricominciato a nevicare ma, sorda alla voce che le sconsigliava di uscire e decisa a mettere in atto il suo buon proposito, si alzò dal letto in cui era rimasta sepolta fino mezzogiorno e iniziò a rivestirsi. Da qualche parte, aveva letto che il cervello umano era più pigro e riottoso ai cambiamenti del suo vecchio cane Labrador e, sicuramente, il "vaffanculo" che sentiva risuonare nelle orecchie con la voce di Shady, come se lui le stesse restituendo quello che gli aveva detto il giorno prima, non era altro che il frutto di quella pigrizia o della sua immaginazione troppo fervida.

Tuttavia, a un passo dalla porta, il destino sembrò mandarle un segnale attraverso il cellulare che, d'un tratto, si mise a squillare sulla scrivania. E quando, un attimo dopo aver ceduto al suo richiamo, Mirabel vide comparire sullo schermo il nome di Becca Stevenson, quel segnale le arrivò forte e chiaro.

C'era stato un tempo in cui erano state amiche, loro due; ma quel tempo era passato da un pezzo, di acqua fognaria sotto i ponti ne era passata tanta – fino quasi a sommergerla - e Mirabel non aveva alcuna intenzione di tornare a nuotare in quella... cacca, sotto i ponti di un passato da cui era riuscita a riemergere e nelle cui acque torbide non voleva tornare a navigare.

Non si sentivano da tre anni, loro due, né ci sarebbe stato motivo di tornare a farlo; a meno che quel motivo non avesse a che fare con qualcuno che, fino a una settimana prima, non era mai esistito. Fu per soddisfare quella curiosità sbagliata che, al decimo squillo, Mirabel decise di cedere alla sua arroganza.

"Ciao, come stai?!"

"Ciao. Bene" salutò Mirabel, priva del suo stesso entusiasmo e delle sue stesse, finte, domande.

"Cosa stai facendo di bello?"

"Sto per buttarmi giù da un ponte. Vuoi venire con me?" – avrebbe voluto risponderle; invece, si limitò a farfugliare qualche frase sul riordinare una stanza già ordinata.

"Uff. Che noia. Fortuna che io ho sempre avuto la cameriera", ridacchiò Becca in un verso strozzato.

Per quanta acqua fognaria fosse passata sotto i ponti, certe cose non sarebbero cambiate nemmeno con uno tsunami di cacca. "Come posso aiutarti?", chiese Mirabel per tagliare corto.

"Volevo sapere se, per caso, avevi cambiato idea sulla festa di stasera."

"No. Ma questo tu già lo sapevi, immagino." Quando mai era andata a una delle loro feste, dopo quella famosa festa del primo anno?

Becca rimase un attimo in silenzio, prima di risponderle. "Sì, me l'ero immaginato. Solo mi stavo chiedendo cosa facesse Shady. Sai, dopo il casino successo a scuola per colpa di Celeste, potrebbe aver cambiato idea a riguardo."

Per colpa di chi?! Mirabel inspirò in cerca di calma. "Becca... tu non sai nemmeno di cosa stai parlando, credimi. E per quanto riguarda il vero colpevole di quello che è successo a scuola, sono l'ultima persona al mondo a essere informata sui suoi programmi. Chiamalo tu, se ci tieni tanto a sapere cosa fa."

"Lo farei volentieri, se solo lui mi avesse lasciato il suo numero. Io gli ho dato il mio, ma non mi ha mai chiamata e...", si fermò, le unghie a stridere su qualcosa di simile a una lavagna – sul serio, però. "Non è che potresti darmelo tu?"

"Non ho mai avuto il suo numero."

"Davvero? E come mai? Se non ricordo male, i Wells sono sempre stati come una seconda famiglia per te."

Come un'ombra col soleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora