Capitolo 8

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Kaylee

«Oddio che bello!» sento Cora blaterale dietro di me, così mi giro trovandola qualche passo più indietro.

«Zack?» inarco un sopracciglio divertita.
«Questo numero civico, in realtà, ma si, anche Zack!»

Mi avvicino e noto un piccolo numero civico bianco con delle decorazioni azzurre piuttosto particolari. Accendo la torcia del cellulare, scoprendo che in realtà sono rappresentati dei glicini viola. Al centro si staglia un 19, scritto in un carattere piuttosto vintage ed elegante.

«Aiutami a staccarlo, me lo porto a casa!»

«Oh no!» mi impunto, bloccandole la mano «Non ruberemo qualcosa in un quartiere malfamato nel bel mezzo di una gara clandestina di chissà cosa!»

«Ma è il mio sogno!» piagnucola, pestando i piedi per terra.
«Me ne frego, dai andiamo» la tiro un po', ma non accenna a spostarsi.

Ho un brutto presentimento.

E, come al solito, su queste cose non mi sbaglio affatto.

Purtroppo.

Improvvisamente una mandria di gente si riversa nella via, fino a poco prima completamente desolata. Tutti urlano, scalpitano in un modo decisamente caotico.

Così caotico che ho solo un ricordo confuso e sfocato.

«La polizia, scappate!» urlano di continuo e il tutto diventa sempre peggio.

Oltretutto, la poca illuminazione non aiuta di certo. La gente, imbestialita e terrorizzata, si travolge a vicenda.

Urla spaventose, anche di dolore, si riversano nella via.

Afferro saldamente la mano di Cora, ripromettendomi di non lasciarla andare per nessun motivo.

Prendo qualche gomitata -forse più di qualche-, ma tra uno spintone e l'altro riesco a farmi largo con la mia amica dietro.

Il mio respiro è regolare e ho tutto sotto controllo: la direzione della mandria inferocita è quella giusta, la nostra, perciò sfruttandola tra poco saremo alla macchina e addio a questo spiacevole capitolo.

Ovviamente, mi sbagliavo.

Improvvisamente, vedo molte persone correre in senso opposto a noi, travolgendo tutto ciò che incontrano.

È da lì, panico.

La gente ora non solo si travolge, ma letteralmente si affossa a vicenda per trovare una via d'uscita.

Ognuno corre dove vuole, calpesta chi vuole senza prestare la benché minima attenzione.

Un uomo alto mi surclassa, costringendomi a mollare la presa su Cora.

Sento che urla, che cerca di riafferrarmi, ma io perdo l'equilibrio e cado in avanti.

Cerco di rialzarmi, ma la folla è troppo scatenata, così ricado. Per una, due, tre e chissà quante altre volte. Prendo così tanti calci, gomitate e ginocchiate che sento di stare per svenire.

Mi rialzo -non so bene come- e mi guardo intorno.

Tante sagome, tutte sfocate, che si spingono a destra e a manca.

I miei piedi si intrecciano tra di loro. Non so dove andare.

Sono sola.

Cora? Dove sei?

«Cora?» provo ad urlare, ma nessuno mi risponde.

«Levati!» una spinta più forte mi fa ricadere al suolo. Mi accovaccio su me stessa, parando la testa con le mani.

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