Capitolo 30

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Presa da una improvvisa ispirazione ho scritto anche il capitolo successivo. Riguardo questa serata ce ne sarà ancora uno, quello riguardante Oliver e Cora -che cercherò di pubblicare il prima possibile.
Fatemi, come sempre, sapere che ne pensate e buona lettura!
soonnambulaa🌗

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Kaylee

La sala da pranzo e la cucina sono deserte. Non c'è traccia né di Oliver, né di Cora, perciò deduco che si saranno cacciati da qualche parte a fare qualcosa.

Non voglio fare la guastafeste, né voglio giudicare la mia migliore amica... però, ecco, lei si starebbe frequentando con un ragazzo a cui io voglio un mondo di bene.

Dobbiamo apparecchiare, ma non so dove si trova l'occorrente, perciò mi blocco da avanti ad un bellissimo e pregiatissimo tavolo in legno. Mi giro tra le mani il bordino della felpa, in modo abbastanza imbarazzato e impacciato, mentre aspetto che un aiuto mi piova dal cielo.

Hunter invece procede verso la cucina, così lo seguo.

Sinceramente, non so comportarmi con lui. L'ho ignorato da quando sono entrata, solo perché l'incontrare i suoi occhi sarebbe potuto essere fatale. E adesso, invece, che cosa dovrei fare?

Sono arrabbiata con lui per ciò che mi ha detto, ma vorrei capire se c'è un motivo per cui quelle parole sono uscite dalla sua bocca o se invece le ha dette con leggerezza e cattiveria.

Lo so che, anche se avesse tutti i motivi del mondo, non sarebbe comunque giustificato a darmi della puttana. Allo stesso modo, anche se non è necessaria una mia spiegazione, voglio puntualizzare che l'idea che si è fatto di me è completamente sbagliata.

Non faccio quelle cose a tutti,-anzi non le avevo mai fatte.

E poi, vorrei anche scusarmi.

Ho detto delle parole brutte, facendo leva sui suoi punti deboli, che potrebbero averlo ferito, e che erano dettate solo dalla rabbia e dalla voglia di restituirgli tutto il dolore che lui mi aveva causato con le sue parole saccenti.

E ora voglio rimangiarmele perché, prima, appena uscita da quella stanza, mi ha dannatamente chiesto se stessi bene, nonostante tutto.

Non è un mostro. Anzi, è sempre Hunter.

Vedo che afferra una tovaglia da un casetto e poi torna in sala, ma prima che possa varcare la porta lo blocco.

«Le posate?» gli chiedo in un sussulto.

Mi indica un cassetto, prima di varcare la soglia dell'altra stanza. Annuisco, anche se non mi può vedere e prendo dal mobile le posate, facendo un rapido calcolo degli invitati.

Mi sposto verso il tavolo e distribuisco le posate appena sopra i tovaglioli bianchi che sta posando il moro.

Proprio mentre Hunter posa l'ultimo, io ci appoggio sopra forchetta e coltello, facendo così sfiorare le nostre mani. Entrambi ci blocchiamo, come ghiaccioli, mentre i nostri occhi, come calamite si cercano.

E poi, finalmente, si trovano.

Sono bui, penetranti e tristi.

Deglutiamo, quasi contemporaneamente, e lui ritira la mano repentinamente, come se improvvisamente bruciassi.

Se ne torna in cucina e io rimango lì impalata a fissargli la schiena coperta solo da una t-shirt grigio scura. 

Torna poco dopo con una montagna di bicchieri in mano. Ha già rotto un candelabro alla famiglia Anderson perciò, prima che possa fare altri danni -e una strage di vetro-, mi avvicino per afferrargliene un paio.

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