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Nei giorni successivi dopo scuola mi recai all'ospedale per fare visita a Historia e Mikasa. Historia stava per essere dimessa mentre Mikasa doveva restare un'altra settimana. Avevamo ripreso a parlare, fortunatamente non di quello che era successo prima dell'incidente. Era come se avessimo deciso di metterci una pietra sopra. Mina e Hitch non si erano fatte vive come del resto anche Eren.

Forse venivano in orari diversi, ma non li avevo mai incrociati.

Cosa potevo dire di Eren? Ecco, stava andando tutto a rotoli.
Dopo l'incidente si era distaccato da tutti, me compresa e passava la pausa pranzo o il post-allenamento fuori, da solo.
Avevo provato a raggiungerlo ma da come mi aveva risposto avevo deciso di lasciar perdere. Ormai mi ci ero abituata a stare male, come del resto il mio cuore. Stavo parlando proprio di questo con Historia, mentre l'aiutavo a salire le scale di casa sua.
«Potremmo formare il club dei depressi.» rise zoppicando.
Si era rotta un piede e ancora non si era abituata al gesso.
«Senza offesa, ma vorrei tanto uscirne.» l'aiutai ad entrare in camera.
Si sdraió sul letto e mise un cuscino sotto la gamba.
«Se devi tornare a casa a studiare fai pure, qui me la caverò alla grande.» mi disse
«Posso sempre studiare qui e farti compagnia.»

Ultimamente non riuscivo più a fare niente. Tra gli allenamenti, interrogazioni, la mia famiglia e i vari impegni non riuscivo a completare niente e mi ritrovavo con mille progetti iniziati ma incompleti. Per non parlare di quanto il mio umore incidesse su quello che facevo.
Il mio problema era che riuscivo ad organizzare tutto alla grande, ma appena iniziavo, l'ordine si tramutava in una confusione pazzesca, facendomi pentire di ciò che avevo fatto.

«Colt la prossima settimana compie gli anni.» cambiai discorso.
«Probabilmente organizzerà una festa pazzesca come al solito e io verrò con questo coso.» indicò il gesso.
«Beh almeno qualcuno mi farà compagnia sul divano.» risi e presi un libro.

Passamo l'ora successiva a cercare di studiare, ma ogni scusa era buona per distrarsi e così, come al solito, fininno per fare tutt'altro.

Quando tornai a casa la nonna stava armeggiando con il telecomando della tv e Jean era buttato sul divano con le cuffiette. Aveva l'aria stanca, probabilmente era appena tornato dalla palestra.
«Io questa tecnologia proprio non la capisco.» mi disse mia nonna «Se premo questo pulsante perché si alza il volume?»
«Nonna è il pulsante dell'audio.» dissi nascondendo un sorriso.

La nonna era un personaggio davvero comico nella mia famiglia, specialmente adesso che non ci sentiva bene le sue battute erano diventate ancora più divertenti.

«Vado a controllare il polpettone.» disse alzandosi di scatto e cambiando canale. La seguii in cucina.
«Ultimamente hai un'aria così malinconica, mi metti tristezza.» disse prendendo un guanto da cucina.
«È solo stanchezza.» mi giustificai.
«E come mai non vedo più quel ragazzo in giro?» non aveva fatto nessun nome, ma il mio pensiero era volato a lui. Perché ogni singola cosa doveva ricordarmelo?
Gli occhi iniziavano a bruciare, brutto segno.
«Ah lo sapevo!» aprì il forno «Ho saputo dell'incidente di sua sorella» scosse la testa «Questa cosa deve averlo ferito davvero.»
«Non riesco a capire perché eviti pure me. Non può decidere quando sparire e ricomparire nella mia vita.» mi poggiai all'isola e mi guardai le mani.
«Sai la vita è un grosso problema, ma il bello è anche questo. Non vedere solo il lato negativo della situazione, pensa anche alle cose belle che hai provato stando con lui. Non è stato mica un addio, ha solo bisogno di stare da solo. Anche tuo nonno aveva questi momenti.» sospirò e tirò fuori la teglia dal forno.

Da quando il nonno se n'era andato la nonna portava sempre con se il suo bracciale, un bracciale che aveva costruito con una corda rotta e un pezzettino di legno, che a suo dire doveva essere un ciondolo. Erano molto legati e averlo perso l'aveva segnata nel profondo, ma si era fatta forza ed era riuscita a risollevarsi per il bene di tutta la famiglia.

«Spesso tuo nonno, quando stavamo insieme da poco e litigavamo pesantemente se ne andava di casa e stava via anche per due giorni facendomi preoccupare tantissimo. Una volta ho addirittura pensato che volesse lasciarmi, ma dentro di me sapevo che sarebbe tornato e puntualmente lo faceva chiedendomi scusa. Una volta mi sono chiesta perché continuavo a perdonarlo se sapevo che mi avrebbe ferita ancora e sai qual'era e qual è la risposta? Lo amavo.»
Le parole della nonna erano come una coperta calda sulle spalle gelide. La grande tristezza e la paura che avevo provato se ne stavano andando. Infondo, anche io sapevo che sarebbe tornato, ma era soltano il mio intuito. La parte pessimista del mio inconscio non faceva altro che punzecchiare i miei pensieri.
«Tu pensi che io sia innamorata?» la guardai e mi resi conto di avere la gola secca.
«Questo puoi saperlo solo tu. Se tu non fossi innamorata di lui, non saresti qui a starci male, non cambieresti umore così facilmente quando litigate, non avresti degli scatti di gelosia. Il tuo problema è che cerchi di evitarlo.»
«Sai perché lo evito. Ho paura ad innamorarni di nuovo, di sbattere contro un muro per la centesima volta.» sospirai.
«Se è successo una volta non è detto che debba essere sempre così.» in quel momento entrò Jean che si sedette accanto a me «E poi penso che a voglia di sbattere su un muro si riesce ad abbatterlo, quindi perché restare fermi a guardarlo? Anzi, penso che tu quel muro lo abbia già abbattuto.»
«Io sono una delle tante per lui.» sorrisi amaramente.
«Non penso sia così.» intervenne Jean fermando la nonna che stava per rispondermi «Lo conosco bene e in un anno è cambiato tantissimo. Secondo te perché ancora dopo tutto questo tempo non ha concluso niente?»
«Perché ha paura di ferirti, di non essere abbastanza.» continuò la nonna.

La conversazione tra di noi finì così.

Da quel silenzio opprimente mi venne a salvare papà che stava cantando canzoni allegre di quando era ragazzo.

Quella breve conversazione con la nonna mi aveva scosso parecchio.

Ormai non riuscivo a capire più niente della mia vita. Più cercavo di prevedere qualcosa nella mia vita, più gli eventi seguivano la direzione contraria, era come costruire un castello di carte durante una giornata ventosa.
Dovevo lasciarmi andare e vivere ogni momento fino alla fine perché non sapevo se ci sarebbe stata una seconda volta.
Dovevo solamente aspettare e farmi coraggio. Se Eren aveva bisogno del tempo dovevo concederglielo, ero disposta ad aspettarlo, purchè in futuro mi spiegasse cosa gli passava per la testa.
Volevo avere certezze, ero stanca delle domande.
La nonna aveva ragione: dovevo provare ad abbattere quel muro, restare ferma a guardare non avrebbe di certo risolto la situazione.

Per adesso nella mia mente c'erano solo due parole importanti: essere forte.

[1152 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐞]

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La nostra amatissima T/n sembra essersi data una svegliata grazie alla nonna. Ringraziamo sta povera donna😭

𝗒𝗈𝗎 𝖼𝗈𝗆𝗉𝗅𝖾𝗍𝖾 𝗆𝖾 . 𝖾𝗋𝖾𝗇 𝗃.𝗑𝗋𝖾𝖺𝖽𝖾𝗋Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora