Capitolo primo

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Ciao a tutti💜!
Benvenuti su All the lines she crosses, on my own.
Questa è la prima storia di una serie e in assoluto la mia prima storia su wattpad, quindi spero vi piaccia!
Inoltre, ho il piacere di annunciarvi che questa storia è iscritta ai premi watty 2023, se la storia vi piace non dimenticate di votarmi💕.
PS: scusate per gli errori, so che ci sono.
Buona lettura.

La mia scarpa impatta con una pozzanghera. Mi ritrovo davanti ad un burrone e mi viene la magnifica idea di saltare.
Mi chiamo Ester Barbossa.
Ho 16 anni e vivo a New York.
Più o meno.
Mi aggrappo ad una serie di radici per evitare di crollare e rotolo a terra. Mi alzo e continuo a correre. Devo arrivare al forziere prima del mio inseguitore. Decido quindi di tagliare per una buca scavata nella roccia.
È sospetto? Sì, parecchio. Mi interessa? No per niente.
Striscio per il condotto finché quello non diventa grande abbastanza da permettermi di correre.
Una bomba fumogena esplode ai miei piedi, mentre un faretto lampeggiante penzola dal soffitto, rischiando di finirmi in testa. Scarto di lato con un salto decisamente riuscito e continuo dritto.
Esco alla luce artificiale del sole e continuo a correre, godendomi la finta sensazione del vento che mi scompiglia i capelli e il sole che mi bacia le guance. Sento dei passi affrettati dietro di me, estraggo la pistola dalla cintura e sparo tre colpi indietro senza nemmeno guardare. Finalmente scorgo una casetta di legno. Mi lancio contro la porta con una sonora spallata, ma non si apre. Sento sempre più piedi pestare la terra secca dietro di me. Lancio un'imprecazione. Uso il coltello che ho assicurato alla coscia per recidere il legno e staccare la serratura, poi mi volto e gli assesto un calcio.
Finalmente cede.
Irrompo nella mansarda e mi precipito sul retro: so esattamente dove devo andare, lo so a memoria. Apro la credenza e butto a terra tutto il suo contenuto, poi uso una forchetta per sfondarla. Mi allungo e finalmente le mie mani si richiudono su un piccolo forziere. Lo tiro fuori e me lo stringo al petto.
Dei passi e delle urla venute dall'ingresso mi fanno sobbalzare. Prendo un piatto e lo lancio contro la finestra più lontana. Dovrebbe bastare a depistarli. Nel frattempo risalgo il più silenziosamente possibile le scale ed accedo alla camera da letto. Impiego diversi secondi per aprire la finestra arrugginita, tanto che riesco a sentire il rumore di passi sulle scale, ma alla fine riesco ad uscire dalla baracca senza farmi notare. Atterro maldestramente sull'erba e mi nascondo dietro un albero, trattenendo a stento i saltelli di gioia.
Sento un rumore sordo alle mie spalle.
Esco dal mio nascondiglio, il baule tenuto alto sopra la testa con un grido di entusiasmo.
- "ce l ho fatta!" Grido.
Nella stanza verde coperta da green screen, ormai spoglia, vedo due istruttori con i volti scuri. In mezzo a loro, si erge nei suoi quasi due metri di stazza mio padre. La sua faccia è decisamente la più scura di tutte.
Lascio cadere a terra il baule.
C'è una cosa che non ho specificato in effetti...
Mio padre è Bond. James Bond. E io, a quanto mi hanno detto, sono la peggiore apprendista A.S che si sia mai vista nell'intera Barca.


- "Ester? Ester, mi stai ascoltando?"
No, non sto ascoltando. Mi sto trattenendo dallo
sferrare un calcio sul tavolino di preziosissimo mogano bianco vicino a me.
Alzo lo sguardo, sforzandomi si stemperare la mia espressione strafottente. Fisso lo sguardo negli occhiali da sole di papà.
Si passa una mano sulla fronte, come se io fossi solo l'ennesimo sospettato con il quale deve avere a che fare, l'ennesimo caso irrisolto.
Mi obbligo a spostare l'attenzione sulla carta da parati crema che mi circonda. Fa pendant con il servizio da tè ma stona con la cornice argentea dello specchio a muro e i divani di pelle bianco perla. Lo penso tutte le volte che vengo nel suo maledettissimo studio. Già perché mi annoio così tanto da pensare parole come pendant.
Bond si lascia cadere sulla sedia della scrivania.
- "cosa devo fare con te?" Mormora.
- "Assolutamente niente!" Esclamo risoluta. "Quindi se non ti dispiace, io me ne andrei."
Faccio come per alzarmi ma subito due paia di mani mi risbattono sulla sedia.
Impreco a mezza voce. maldetti agenti.
Bond afferra il tavolo con entrambe le mani.
- "quello che hai fatto era pessimo. Entrare nel tunnel? Davvero? Potevi anche spararti un proiettile in bocca, era una via più diretta per la morte!"
- "Conosco a memoria questa simulazione, papà. Conosco esattamente ogni trappola e so precisamente come e quando scattano, io-"
Papà sbatte una mano sul tavolo.
- "LA VITA NON È UNA SIMULAZIONE!" Grida. "Nel mondo lì fuori non sopravvivi ad attacchi simili!"
- "COME FACCIO A SAPERE COM'è IL MONDO LÀ FUORI SE NON MI LASCI METTERE IL NASO FUORI DI CASA?!" Vorrei alzarmi per enfatizzare la mia posizione ma la mano di Anna, una dei due gendarmi che mi stanno trattenendo, si stringe pericolosamente sulla mia spalla.
- "Questa è una mia decisione." Sibila papà.
- "Questa è la mia vita". Rispondo.
Si toglie gli occhiali e mi fissa negli occhi.
Sono azzurri.
- "non sei pronta ad una missione vera e propria. Non lo sei e basta."
- "Forse se tu assistessi alle mie sessioni di allenamento sapresti che-"
- "Ho parlato con tutti i tuoi allenatori ed erano uno più scontento dell'altra."
Non si decide a distogliere lo sguardo, esattamente come non lo faccio io.
- "abbassa lo sguardo." Ordina secco.
Resto immobile ma sbatto le palpebre.
- "Non era una richiesta." Ripete.
Mi mordo la lingua a sangue e lascio slittare gli occhi verso destra.
Non lo vedo, ma so che mio padre si è rilassato un poco.
- "sei congedata, bambina."
Mi alzo, piantando uno sguardo accusatore negli occhi del gendarme alla mia destra che alza appena le spalle, poi esco dalla stanza cercando di tenere la testa alta.
Entro in camera mia e chiudo piano la porta. Solo per voltarmi e tirare un pugno contro lo specchio subito dopo.
È di plastica proprio per questo motivo.
Mi si spezza simultaneamente la pelle su tutte le nocche, lasciando un'impronta rossa sulla superficie riflettente.
Lancio un occhiata alla mia immagine riflessa.
I capelli sono passati da corvini a grigi a causa della polvere bianca incastrata tra i riccioli. Perfino le ciglia sono più chiare. Roteo gli occhi azzurri  e mi infilo nella doccia, buttando a terra la tuta piena di neuro trasmettitori che funzionano in combinazione con il green screen per le simulazioni
Ho le ginocchia rosse: le sbucciature si sono riaperte. È lo stesso per i gomiti.
Sospiro e strofino forte il pollice contro i tre numeri scritti tra l'anulare ed il mignolo, come se potessi cancellare quella dannata localizzazione che mi tiene incollata a questa stramaledetta barca. Mi rassegno all'evidenza ed esco dalla doccia. Lancio un'occhiata alla scritta che ho tatuata all'interno del labbro inferiore. Se mio padre ne venisse a conoscenza mi ucciderebbe.
Esco dal bagno e torno in camera per buttarmi addosso un paio di pantaloni di pelle neri ed una canotta per poi uscire in corridoio, senza neanche prendermi la briga di asciugarmi i capelli.
Mi trovo davanti un ragazzo alto, occhi marroni come i capelli. È Luke, uno dei due gendarmi che mi hanno trattenuta di fronte a mio padre poco fa...non che il mio migliore e unico amico.
Gli do una forte spallata.
- "sei un idiota." Dico.
- "hei!" Protesta lui affiancandomi. "Io lavoro per tuo padre, Red, devo fare quello che mi dice!"
Mi chiama Red perché è il modo in cui mi facevo chiamare quando ci allenavamo da piccoli. Mi strappa un sorriso.
- "questo include anche remarmi contro?" Ribatto poi.
- "Non so cosa farebbe tuo padre se io mi rivelassi incompetente, vista la quantità di cose di cui sono al corrente in quanto promosso Agente Segreto. Ma soprattutto, non so cosa farebbe mio padre se perdessi la carica!"
Promosso Agente Segreto. Giusto. Luke aveva un anno e sei mesi in più di me. Sarebbero stati due se non fossi nata agli inizi di gennaio, ma stando così le cose avevamo fatto la maggior parte dei corsi insieme.
Risultato?
Lui era stato promosso e io no.
Io no.
- "immagino che sei perdonato per questa volta." Commento voltandomi verso di lui con fare sostenuto.
- "Anche perché senza di me saresti una piccola   neo-segreta fattona e depressa." Scherza.
- "Cosa?!" Esclamo facendo per dargli un pugno. Mi afferra il braccio e si abbassa, facendoselo passare sopra la testa e prendendomi per la vita, sollevandomi sulle spalle.
Inizio a ridere.
- "lasciami!" Grido.
- "Ma come? Non apprezzi il tuo nuovo mezzo di trasporto?"
Rido.
Luke gira su se stesso un paio di volte per darmi fastidio, prima di rimettersi a camminare.
- "se avete finito di fare i piccioncini, io dovrei parlare con Ester".
Non vedo il volto di colui che ha parlato. Ma so già a chi appartiene questa voce...
-"Caleb." saluta, o meglio sibila, Luke.
Mi posa per terra non troppo delicatamente, di modo che gli faccia fronte. Mi lancia un occhiata ammonitrice: non fare casini.
Sorrido e mi volto verso Caleb.
Il ragazzo davanti a me ha la pelle scura e mi supera di diversi centimetri. Ha gli occhi neri come l'anima e i capelli come i miei... un gran pezzo di manzo insomma.
- "Caleb." dico con un tono freddo, decisamente in contrasto con il mio sorriso.
Fa un cenno con la testa e si volta, prendendo a camminare per il corridoio. Stringo i pugni. Continua a fare come se io non avessi alcuna importanza.
Luke mi stringe la spalla.
- "ce la farai piccola."
Mi scrollo dalla sua presa.
- "certo che ce la faccio".
Seguo Caleb senza affrettarmi troppo. Svolta a destra e si ferma davanti ad una porta.
- "devi tenere il passo." Mi ammonisce senza voltarsi quando lo affianco.
- "il fatto che tu sia stato promosso non ti da il diritto di dirmi cosa fare." Dico.
C'è una scritta in corsivo che dovrei riconoscere sulla porta, purtroppo per me ho dimenticato le lenti e non ci leggo nulla.
Caleb si limita a sorridere, o meglio, ghignare, ed apre la porta.
- "prima le novelline."
Mi volto caricando un pugno diretto al suo naso ma lui mi blocca il braccio.
-" non lo farei, se fossi in te." sposta lo sguardo all'interno della sala, e mentre trascino il mio culo sulla moquette verde vomito oltre la porta, capisco che non lo farei neanche io, se fossi in me.

All the lines she crosses 1- on my ownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora