Capitolo ottavo, parte due

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Dopo la tortura al leg press ero tentatissima dal non presentarmi in sala simulazioni, ma poi mi è balenata in testa una conversazione.
"se non cominci a prendere i nostri allenamenti sul serio, sarò costretto a riferirlo ai tuoi superiori, a riferire tutti i piccoli errori, come la tua... dimenticanza  di oggi."
È per questo che ora mi ritrovo nella sala simulazioni, con la tuta dei neuro trasmettitori e a fingere di ascoltare quello che sta dicendo Caleb.
- "...quindi ti accompagnerò nelle simulazioni." Sta dicendo.
- "aspetta cosa?" Chiedo, riscuotendomi.
Caleb mi ignora e schiaccia un tasto sul computer. Poi mi afferra la mano.
- "ricordati, non sono qui per aiutarti, sono qui per complicarti le cose."
- "tanto per cambiare." Sbuffo. I colori si fondono intorno a me per poi ricomporsi in una scena diversa. Sono in una stanza, Caleb è sempre accanto a me, ma vestito in un modo diverso: porta un impermeabile ridicolo alla Sherlock Holmes e un cappello che gli copre mezza faccia.
La stanza è immersa nella penombra. Lanciando uno sguardo fuori dalla finestra capisco che ci troviamo a New York, di notte. Davanti a me c'è una scrivania dietro la quale è seduto un uomo di mezza età con il pancione ed un completo elegante giallo mostarda.
- "te lo ripeto per l'ultima volta" sta dicendo Mostarda. "Lascia perdere questa indagine subito, e a lui non verrà fatto alcun male." Mi volto verso Caleb ed in quel momento noto che una donna dai capelli viola melanzana con un completo simile a quello di Mostarda lo sta trattenendo, puntandogli una pistola alla tempia.
- "chi, lui?" Chiedo indicandolo. "Lui potere pure tenervelo."
Mostarda sembra incredulo.
- "credevo avessi un minimo a cuore la vita di tuo marito." Dice.
- "marito?!" Esclamo, incredula.
Mi volto verso Caleb, che incrocia il mio sguardo da sotto il cappello e mi offre un sorriso smagliante.
Roteo gli occhi.
- "stiamo... divorziando." Dico. "Quindi no non me ne frega niente." Mi avvicino alla scrivania e vi sbatto le mani sopra. "Cosa mi stai nascondendo?" Grido.
- "questa è la tua ultima possibilità." Ribatte Mostarda. "Lascia subito-"
Viene interrotto dal tonfo della donna dai capelli viola che rotola a terra: Caleb l'ha in qualche modo disarmata...E ora punta la pistola contro Mostarda.
Capisco cosa vuole fare un secondo in ritardo.
- "CALEB, NO!" La detonazione del proiettile fende l'aria, mentre la pallottola raggiunge la testa del signor Mostarda, che cade dalla sedia.
- "NO!" Mi precipito a terra, vicino a lui, cercando segni di vita, ma è inevitabilmente morto.
- "che cazzo ti frulla nel cervello?!" Grido contro Caleb, alzandomi. "Hai ucciso la mia pista!"
- "te l'ho detto." Risponde Caleb con un sorriso. "Sono qui per crearti situazioni difficili." Si avvicina a me.
Non ha più la pistola in mano, il fodero dovrebbe trovarsi su uno dei suoi fianchi, sotto l'impermeabile.
Chiudo la distanza tra di noi e passo le braccia sotto l'impermeabile di Caleb, fingendo un abbraccio, finché finalmente non trovo la pistola. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio, nel suo sguardo non vedo disgusto, solo sorpresa e un pizzico di divertimento: e adesso che fai?
Estraggo la pistola dal fodero e poso il mento sulla sua spalla, mirando a qualcosa dietro di lui.
Un colpo, seguito da un grido.
Ho colpito il piede della donna viola, che stava cercando di scappare dalla stanza.
Caleb si volta sorpreso, prima di tornare a guardare me. Poi sorride.
- "mi stavi usando?" Chiede.
- "certo, cosa credevi che volessi fare, sbaciucchiarti?" Chiedo, sarcastica.
Caleb mi scosta una ciocca di capelli dal viso e me la passa dietro l'orecchio.
- "no." Sussurra. "Ma bastava chiedere" si è chinato su di me, nemmeno fossi alta un metro e quaranta.
Scanso la sua mano dal mio viso con uno schiaffo e lo supero, raggiungendo la donna che sta ancora cercando di scappare.
- "ferma, melanzana." Intimo, bloccandole la caviglia sottto lo stivale. La donna grida. "Adesso, mi darai una pista. E ti conviene farlo alla svelta." Dico, posandole la pistola contro la fronte. "Di solito non ho fretta, ma temo di avere il tempo contato."

POV di Luke
Il primo schiaffo si abbatte contro la mia guancia, costringendomi a voltare la testa.
- "SEI DELUDENTE." Grida mio padre. Un altro schiaffo sonoro mi costringe a voltarmi. "DELUDENTE!"
- "sto facendo del mio meglio." Mormoro.
- "il tuo meglio non è abbastanza."
Stringo gli occhi.
Tra di noi non è sempre stato così, non quando era viva la mamma. Le esigenze erano sempre le stesse, ma all'epoca mio padre non avrebbe mai alzato un dito su di me, né avrebbe mai pensato di insultarmi.
La mamma non era una spia, era un insegnante. Vivevamo in una casa sulla costa, così da poter raggiungere rapidamente sia la barca che la scuola, a seconda di dove ogniuno doveva andare. Lei era la persona più gentile del mondo, in un certo senso, somigliava molto ad Ester...senza gli attacchi di rabbia e le parolacce. Poi mio padre era stato mandato in una missione pericolosa, la sua ultima missione. L'aveva portata a termine, ma per farlo si era messo contro le persone sbagliate, che un giorno, tre anni fa, sono entrate in casa nostra e hanno ucciso la mamma. Mi sarebbe toccata la stessa sorte, se non fossi stato ad allenarmi con Ester sulla Barca.
Questo aveva alimentato l'ira di mio padre, non me lo ha mai detto, ma so che sotto sotto lo infastidico, perché io sono vivo, ma lei no.
- "se entro la fine del semestre non ti fai affidare una missione sarà peggio per te." Mi avverte mio padre, facendo avanti e in dietro nel salotto. Il salotto di mamma. "Devi eliminare qualsiasi distrazione." Continua. "Parlerò con Hannes-"
Mi alzo dalla sedia.
- "te lo proibisco." Ringhio.
Ormai sono quasi alto quanto lui.
La mia situazione non è grave quanto quella di Ester: io vedo mio padre solo un paio di volte l'anno, e di solito scambiamo solo qualche parola rispetto ai miei progressi. È quando questi progressi scarseggiano, che diventa doloroso.
Mio padre mi fissa negli occhi per un tempo che mi sembra infinito, la tenzione che si accumula è sempre più ingombrante nella stanza. Poi si mette a ridere.
- "tu proibisci a me?" Chiede. Mi mette una mano sulla nuca. "Ragazzo, sei esilarante." Si allontana e si ferma al tavolo per versarsi un bicchiere di liquore, dandomi le spalle.
- "non parlerai con Hannes." Dico. "Punisci me, ma lascia Ester fuori da questa storia."
Mio padre si volta con una velocità disarmante e mi tira contro il bicchiere. Mi butto a terra appena in tempo e questo si infrange sul muro dietro di me. Qualche scheggia mi rimbalza addosso e il liquido si allarga in una macchia rossa sul muro come sangue che esce da  una ferita.
Mio padre si accovaccia vicino a me.
- "Questa, figliolo, è la prova che quella ragazza è una distrazione." Lancia un occhiata alla macchia sul muro dietro di me. "Hai migliorato i tuoi riflessi però. L'ultima volta mi sembra di averti preso."
- "la spalla." Confermo. "Di striscio"
- "vedi, non tutto il male vien per nuocere." Mio padre si alza ed esce dalla stanza, resto a terra a fissare le sue scarpe eleganti che si allontanano finché non spariscono dal mio campo visivo.

All the lines she crosses 1- on my ownDove le storie prendono vita. Scoprilo ora