Capitolo 25 - L'intuizione di Silvia

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Un pensiero fisso aveva tormentato Silvia per tutto il giorno, dopo la sua visita ad Anita. Era un tarlo insistente che le rodeva il cervello, e non importava cosa lei tentasse di fare per scacciarlo. Aveva tentato con la lettura, con la meditazione. Aveva provato a sdraiarsi sul letto e a lasciare che la vicinanza degli amati gatti le alleggerisse la mente ma niente, era ancora lì, che proprio non voleva saperne di andarsene. Persino le infallibili tisane calmanti la cui ricetta aveva ereditato dalla nonna avevano mancato di portare a termine il loro compito.

 Avrebbe potuto parlarne direttamente con Anita, ma alla luce di quanto accaduto non aveva ritenuto opportuno gravare la sua giovane mente con ulteriori pensieri. Avrebbe atteso l'arrivo di zia Giulia e le avrebbero parlato insieme. 

Non dubitava che la chiave per risolvere la vicenda, per fare luce sull'identità di colui che si era intrufolato nella casa, rubando la lettera di Giovanni, risiedesse nel mistero che si celava dietro l'assassinio di Maria.

La cosa la faceva impazzire. Quel mistero l'aveva ossessionata per decenni, fin da quando aveva sentito parlare per la prima volta di quella giovane donna troppo spregiudicata e ribelle per il suo tempo, e di cui si erano perse le tracce. 

Dovevano esserci i Bianchi dietro a tutto quanto, dalla scomparsa di Maria sessant'anni prima, all'intrusione in casa di Anita. Ovviamente anche l'altra intrusione mancata doveva essere collegata.

Silvia fremeva. Supposizioni, null'altro che supposizioni, per quanto logiche. Doveva concedere una cosa ai Bianchi, erano piuttosto bravi nel coprire le proprie tracce. Eppure rimaneva innegabile un fatto: erano i soli ad avere qualcosa da guadagnare dalla morte di Maria. Scomparsa lei, il prezioso erede della casata era libero di percorrere la via tracciata per lui e adempiere così al proprio destino. E, persino a distanza di così tanti anni, l'onore da salvaguardare era una ragione che avrebbe facilmente giustificato una piccola, insignificante effrazione. 

Mentre i pensieri vagavano in quella direzione, l'ultima tessera del mosaico andò a posto all'improvviso. Era qualcosa che aveva visto la sera in cui aveva minacciato Bruno, tornando a casa, e poi di nuovo due sere prima, il giorno dell'intrusione, sbirciando fuori dalla finestra del soggiorno. Lo stesso viso entrambe le sere. Un viso noto, familiare, eppure fuori posto. Un dettaglio banale a cui, sul momento, non aveva prestato attenzione ma che la sua mente aveva prontamente registrato e immagazzinato. 

Non le occorse molto per decidere: ora che sapeva lo avrebbe affrontato, proprio come aveva affrontato Bruno, e tanti altri omuncoli da niente prima di lui. Poi avrebbe raccontato tutto ad Anita e Leonardo. Dovevano sapere.

In quel momento suonarono alla porta. Fuori era già buio, troppo tardi per un appuntamento, ma le donne che frequentavano quella casa sapevano che la sua porta era sempre aperta. Non era raro che si recassero a cercare il suo aiuto e il suo consiglio in momenti insoliti della giornata. Si sa, la necessità non conosce orario. 

Aprì la porta e automaticamente la mano volò verso la tasca in cui teneva sempre riposto il fidato coltello a scatto. Lì, davanti a lei, quello stesso viso, la fissava.

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora