NONO INTERLUDIO

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Era tutto finito. Sua figlia era morta. La sua primogenita, quella povera bimba nata sotto una cattiva stella non c'era più. 

L'aveva amata fin dal primo momento in cui l'aveva stretta tra le braccia, nonostante le sue origini, forse ancora di più proprio a causa di esse. In fondo non aveva colpa per il modo in cui era stata concepita. Non le era mai importato nulla di chi fosse in realtà suo padre perché fin dal primo istante in cui l'aveva guardata in viso l'aveva sentita sua. Amava anche la propria secondogenita ovviamente, ma Gigliola era diversa, troppo diversa da Maria, e troppo simile all'uomo che l'aveva generata. Come suo marito era austera, fredda, scostante. Maria invece... la rimproverava perché era suo dovere, certo, ma il coraggio indomito che vedeva in lei le scaldava segretamente il cuore. E la sua risata...la sua risata forte e sincera era contagiosa, anche se rideva sempre più di rado.

Ora che non c'era più era come se anche una parte del suo cuore fosse morta con lei. Si sentiva arida, vuota, con solo la colpa a riempirle e divorare l'animo.

Aveva visto Maria uscire di casa sotto la neve, quel pomeriggio, e poco dopo aveva visto suo marito incamminarsi sullo stesso sentiero che lei aveva intrapreso. Un brivido le aveva percorso la schiena, ma non aveva detto nulla, non era uscita a fermarlo. Come avrebbe mai potuto immaginare quali fossero le sue reali intenzioni?

Quella sera lui era rientrato e lei no. Poco dopo lo aveva visto pulire il coltello ancora sporco di sangue.

Già allora aveva capito, ma anche se le fossero rimasti dei dubbi, parlare con Lucia era bastato a cancellarli quasi del tutto.

Quando poi aveva visto Francesco portare alla Rocca quelle lettere, le lettere che Giorgio Bianchi scriveva alla sua Maria e che la giovane nascondeva sotto al materasso, ogni residuo di incertezza era svanito.

Aveva cercato di tirare avanti. Per Gigliola, la sua altra figlia, ma ogni giorno vedeva riflesso sul suo giovane viso la venerazione per il padre, e lei non ce la faceva più, non poteva continuare a vivere accanto a una simile bestia.

Sapeva che Francesco non aveva mai amato Maria. Come avrebbe potuto? Sapeva che non era frutto dei propri lombi, lo sapeva fin troppo bene.

Luigi Bianchi era ubriaco quella sera, la sera in cui se lo era trovato davanti sul sentiero, mentre tornava a casa dopo essere stata a visitare un'amica, in paese, da poco divenuta madre. Lei gli aveva detto di no, ma non era servito, e lui era troppo forte perché lei si potesse opporre.

Francesco aveva sempre saputo di chi era figlia Maria. Per questo, anche se l'aveva riconosciuta come propria, non le aveva mai voluto bene. L'aveva allevata, nutrita, e con la severità arcigna che gli era propria le aveva impartito un'educazione, ma non aveva mai avuto per lei un solo gesto d'affetto. Maria aveva sempre sentito sul volto il tocco di quell'uomo solo negli schiaffi, mai in una carezza. E lui aveva taciuto e sopportato sulle vere origini della bambina soltanto perché lamentarsi avrebbe significato ammettere la propria vergogna. La vergogna di essere il marito di una moglie disonorata. Se avesse parlato, la colpa di lei, di riflesso, avrebbe gettato l'onta anche sul suo nome.

Piccolo orgoglio di provinciale. Colpa... come faceva lui, proprio lui, a parlare di colpa? Lei non aveva tentato di sedurre Luigi Bianchi, non aveva fatto nulla per attirare su di sé la sua attenzione. Era una colpa trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato? Era una colpa non riuscire a difendersi dai sordidi appetiti di uomo, così fisicamente più forte di te?

No, non aveva alcuna colpa per quello che era successo, propria come nessuna colpa ne aveva Maria. Un figlio non può scegliere i propri genitori.

Per quanto riguardava la morte della sua primogenita invece...beh...riguardo a quella faccenda le cose erano molto diverse. Non aveva affondato il coltello, odiava la bestia che aveva compiuto l'atto, ma era anche lei ugualmente responsabile per quel tragico epilogo.

La colpa era anche sua, perché non aveva fermato Francesco quando lo aveva visto uscire di casa. Avrebbe dovuto capire, immaginare. Avrebbe dovuto proteggere la propria figlia. Avrebbe dovuto richiamarlo indietro con una scusa qualsiasi, trattenerlo in casa. E, se proprio non ci fosse riuscita, avrebbe dovuto essere lei ad affondare il coltello. Sarebbe stato un peccato tanto grande, uccidere quell'uomo incapace di amare e che anche lei aveva smesso di amare da tanto, tanto tempo? Gigliola l'avrebbe odiata per quello, ma almeno entrambe le sue figlie sarebbero state ancora vive. 

E la colpa era sua anche per aver detto a Maria la verità. Se non lo avesse fatto la ragazza non sarebbe mai andata alla Rocca quel giorno, ma che altra scelta aveva? Non poteva permettere a quel bambino di nascere. La sua Maria non poteva avere un figlio con Giorgio Bianchi perché Giorgio Bianchi in realtà era il suo fratellastro. 

Avrebbe dovuto immaginare che Maria, al contrario di quello che aveva fatto lei, non se ne sarebbe rimasta buona e in silenzio. Avrebbe dovuto immaginare che Francesco non l'avrebbe mai lasciata parlare, perché se avesse parlato, tutto il paese sarebbe venuto a conoscenza del suo disonore.

Avrebbe potuto ucciderlo. Forse avrebbe dovuto farlo, ma a che scopo? Uccidere il mostro che le viveva accanto non le avrebbe restituito Maria. E lei era stanca, troppo, troppo stanca. 

Clelia osservò l'acqua del Roggio, gonfiata dalla piena, scorrere impetuosa sotto di lei. A Francesco non aveva più niente da dire, ma a sua figlia, la sua unica figlia rimasta aveva scritto una lettera. Per spiegare, per giustificarsi.

Ne aveva spedita anche un'altra. Sarebbe stata recapitata, forse il giorno dopo, nelle mani di Luigi Bianchi, la causa prima della sua tragedia. L'accusa che sua figlia non era riuscita a rivolgergli sarebbe arrivata da lei.

Gli aveva raccontato tutto, del delitto che era stato conseguenza del suo crimine e della famiglia che le sue voglie di ubriaco avevano distrutto per sempre.

Sorrise di un sorriso senza gioia, cupo e un po' folle, mentre senza ulteriori indugi si consegnava all'abbraccio del vuoto.

La lettera sarebbe arrivata il giorno dopo, e allora forse a gravargli l'animo nero sarebbe arrivato anche quello, il peso della colpa del suo suicidio.

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Avevo promesso due capitoli a settimana, ma mercoledì ero alla vigilia di un esame e non sono riuscita a pubblicare, ma per mantenere la promessa oggi doppio capitolo!

Il prossimo arriverà stasera!

Finalmente ad Altariva non ci sono più segreti. La verità ormai è stata svelata per intero...o forse no. Forse manca ancora un piccolo ma importante tassello...

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora