Capitolo 37 - Onorata memoria

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Daniele Bianchi era lì, davanti a lei, la chioma scomposta e lo sguardo febbricitante da pazzo.

«Puttana» sibilò «siete tutte uguali. Tu, Maria, Silvia... proprio non riuscite a stare fuori dalle faccende che non vi riguardano.»

La lama di un coltello da caccia luccicava maligna tra le sue mani.

Anita capì immediatamente che l'uomo che aveva di fronte doveva aver da tempo abbandonato i contatti con la realtà. Inutile tentare di placarlo, di farlo ragionare. Nulla di quello che lei avrebbe potuto dire o fare avrebbe fatto la differenza a quel punto. Qualcosa in lui era scattato e le sue parole non avrebbero mai potuto raggiungere gli abissi nel quale nuotavano i suoi pensieri confusi.

Era entrato dalla porta della cucina, che lei aveva incautamente lasciato aperta. Non pensava di correre pericoli, non a quell'ora del giorno per lo meno.

Solo il tavolo li separava, mentre la figura di Daniele si frapponeva tra lei e ogni possibile via di fuga. C'era la finestra dietro di lei, ma era fuori discussione. Se anche fosse riuscita a uscire, le possibilità di toccare il suolo senza farsi male in alcun modo erano minime, e allora lui avrebbe avuto gioco facile. Non sarebbe servito a nulla riuscire a uscire di casa se poi lui l'avesse riacchiappata nel cortile.

Cercò di calmare i battiti frenetici del suo cuore, di trasformare ancora una volta la paura in rabbia, come sembrava essere in grado di fare così bene. La paura era paralizzante, la rabbia invece le dava forza. Ci riuscì senza neanche troppa difficoltà. Era ridicolo, assolutamente ridicolo morire così. Leonardo aveva sentito il suo grido, di certo era già in strada, gli sarebbero occorsi meno di cinque minuti per arrivare da lei in macchina. Cinque minuti, era tutto quello che le occorreva.

Il suo sguardo corse al ceppo con i coltelli che si trovava vicino al fornello, a meno di due metri da lei. Daniele si mosse e lei lo imitò, cercando di mantenere il tavolo tra di loro. Lo stallo che si era venuto a creare venne interrotto bruscamente da un lungo miagolio, seguito da qualcosa di molto simile a un basso ringhio.

All'improvviso Venere balzò addosso a Daniele, affondandogli gli artigli ricurvi nelle sue caviglie. L'uomo urlò, forse più di sorpresa che di autentico dolore. Un attimo di distrazione, fu tutto quello che occorse ad Anita. La mano corse senza indugio al ceppo dei coltelli. 

Daniele assestò alla gatta un calcio che la fece volare attraverso la stanza con un lamento sommesso. In quel momento però Anita gli fu addosso, cieca di rabbia.

«La gatta no, bastardo» sibilò, affondandogli il coltello nell'avambraccio sinistro. Lo ritrasse di scatto, indietreggiando mentre il sangue caldo iniziava a sgorgare. Daniele, incredulo, osservò il proprio braccio ferito. Anita afferrò Venere e, sfruttando la distrazione del suo avversario, si precipitò verso la porta. Non sapeva dove fosse Orione, ma in quel momento non aveva tempo di pensare anche a lui. Sperò con tutto il cuore che fosse abbastanza furbo da mantenersi lontano dal pericolo. 

Guadagnò l'uscita e corse verso il cancello, stringendo ancora la lama insanguinata tra le dita. Aveva fatto solo pochi metri quando una mano le afferrò con violenza i capelli, interrompendo la sua fuga. Daniele la costrinse a girare la testa verso di lui. I loro occhi si incontrarono. Quelli dell'uomo ormai non avevano più niente di umano. Istintivamente Anita strinse al petto il corpicino esanime della micia e chiuse gli occhi, aspettando il fendente che avrebbe interrotto per sempre la sua vita... ma quel fendente che non arrivò mai.

Un tonfo sordo, e la presa sulla sua chioma si allentò di colpo. Barcollando, aprì gli occhi di scatto. Leonardo era lì, di fronte a lei, alle spalle del fratello che ora giaceva per terra massaggiandosi la mascella.

Lesto gli tolse il coltello di mano e si parò innanzi a lei, nascondendola alla vista dell'altro. Anita si accorse che il ragazzo che stava tremando.

La voce di Daniele giunse carica di rabbia e incredulità.

«Perché l'aiuti? Perché aiuti quella puttana?»

«È finita, Daniele» mormorò Leonardo «è stato tutto inutile.»

Daniele scosse ostinatamente la testa.

«Tu non capisci. Il bisnonno era una brava persona, l'ha fatto solo per proteggere la famiglia. Anche una cosa cattiva diventa buona, se fatta per un nobile scopo.»

Fu il turno di Leonardo di scuotere il capo, disarmato da tanta spietata ingenuità.

«Te lo ha detto lui, vero? Quando stava per morire.»

Daniele piangeva, il viso sfigurato dalla rabbia e dal dolore.

«Mi aveva raccontato tutto, tutto. Sapeva che quella serpe era riuscita a sedurre il nonno. Il bisnonno era un grand'uomo, aveva fatto quello che doveva fare, eppure si sentiva in colpa. È morta per colpa mia, ha detto. Ma lui non aveva colpa. È sempre loro, la colpa, delle donne!» Si interruppe, fissando il fratello. «Non sapevo di quella maledetta lettera. Pensavo davvero di averle distrutte tutte, dopo la morte del bisnonno. L'ho cercata, ma non sono riuscito a trovarla.»

«L'hai cercata qui» finì per lui Leonardo «e quando non l'hai trovata hai pensato che l'avesse Silvia e sei andato da lei.»

«Quella puttana mi ha aggredito» si difese Daniele «mi aveva visto, tutte e due le volte. Aveva capito che ero stato io a entrare in questa casa. Mi ha aggredito, io mi sono soltanto difeso».

«L'avevo io, la lettera, l'ho sempre avuta io» mormorò Leonardo.

Gli occhi di Daniele si accesero improvvisamente di speranza.

«Dov'è, fratello? Dove l'hai messa? Se la distruggiamo tutto tornerà come prima, il bisnonno rimarrà nella memoria di tutti come la persona onorata che è sempre stato.»

Leonardo gettò la testa all'indietro e rise.

«Davvero non lo sai, fratello, quello che hanno sempre detto alle sue spalle, alle nostre spalle? Tutti in paese stimano i Bianchi, ma su una sola cosa si sono ritrovati sempre d'accordo: il nostro bisnonno era una specie di demonio sempre arrapato, e la nostra bisnonna portava sulla testa un palco di corna colossale. Sembra non ci fosse una sola contadina che non avesse molestato almeno una volta. Se avessi prestato un po' più attenzione a quello che le vecchie dicevano quando pensavano non ascoltassimo, lo avresti saputo anche tu.»

Daniele si sentì mancare la terra da sotto i piedi. Vacillò come se fosse stato colpito da un altro pugno. 

«No» sussurrò.

Il suono delle sirene della polizia squarciò l'improvviso silenzio. La prima volante scese nella strada.

«È finita» ripeté ancora una volta Leonardo. La sua voce grondò al tempo stesso dolore e sollievo. 

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora