Capitolo 12 - Paure del giorno dopo

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Anita si svegliò poco dopo le dieci, riemergendo da un sonno agitato. Si sfregò gli occhi, cercando di rammentare i sogni che l'avevano visitata durante la notte, com'era sua consuetudine.

Nessuno sa dove può risiedere l'ispirazione e un sogno è una fonte buona come un'altra, forse migliore. Purtroppo quel giorno ogni suo tentativo di richiamare qualche brandello d'immagine rimase infruttuoso, forse perché il primo sonno, quello buono per i sogni, era stato interrotto bruscamente quando un rumore improvviso l'aveva destata. Aveva acceso la luce e teso l'orecchio in ascolto ma non era riuscita a cogliere nulla d'insolito, solo i consueti suoni della notte in campagna. Troppo stanca per farsi domande, era ripiombata tra le braccia di Morfeo. Sicuramente si era trattato di un animale selvatico che si era avvicinato troppo alla casa.

Ancora in pigiama scese in cucina. Prese il succo d'arancia dal frigo, sbatté le uova, le verso in padella, insieme a un paio di fette di bacon e mise a tostare del pan carré, preparandosi una ricca colazione continentale che, vista l'ora, poteva essere considerata quasi un brunch. Mentre strapazzava le uova e dorava il bacon, raccolse il coraggio a quattro mani e chiamò la sua agente a Londra per raccontarle di quello che era successo con Bruno. Come aveva previsto le imprecazioni di Catherine, amplificate dal viva-voce, giunsero copiose e colorite. Oltraggiata, la donna le assicurò che avrebbe pensato a tutto lei e che, quel giorno stesso, avrebbe allertato anche la polizia. Anita non si oppose: meglio eccedere in prudenza che dispiacersi per non aver preso abbastanza precauzioni. Dopo aver salutato Catherine e averla debitamente rassicurata che avrebbe fatto attenzione e che non avrebbe fatto nulla di avventato, divorò la colazione, si vestì e si preparò a uscire.

Stava per chiudere a chiave la porta quando notò qualcosa di strano. Un'intaccatura nel legno, vicino alla serratura che, ne era certa, non c'era il giorno precedente, quasi come se qualcuno avesse tentato di forzare la porta.

Ripensò al rumore udito durante la notte. Se non fosse stato un animale, come aveva pensato? Di scatto si guardò intorno, il cuore in gola. Tutto però era tranquillo intorno a lei. Il sole splendeva, appena offuscato da alcune pallide nubi, la macchina era ancora dove l'aveva lasciata e, se ci fosse stato qualcuno acquattato tra gli alberi, in attesa, di certo avrebbe già avuto tutto il tempo di aggredirla.

Scosse la testa. Stava diventando paranoica. Probabilmente quel segno sulla porta c'era sempre stato e lei semplicemente non l'aveva notato. Era possibile. Non è che avesse prestato così tanta attenzione a ogni crepa, fessura o intaccatura presente sul legno. Da quando era arrivata a Altariva aveva decisamente avuto altro a cui pensare.

Prima di uscire dal cortile controllò comunque due volte che le serrature fossero ben chiuse, così, per precauzione.

Mentre percorreva quel tragitto già tanto familiare, compose il numero della biblioteca. Letizia rispose al terzo squillo. Non ebbe difficoltà a fornirle l'informazione che le serviva.

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Visto che sia il secondo interludio che  questo capitolo erano piuttosto brevi ho deciso, in via eccezionale, di pubblicarli entrambi lo stesso giorno.

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora