Capitolo 36 - Il figlio perfetto

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Alice lo aspettava sotto casa. Avevano salito insieme le scale, in silenzio. Solo dopo aver chiuso il mondo alle loro spalle, lei aveva parlato e le sue parole erano arrivate dure, fredde, impietose e veritiere.

Alice, la tranquilla Alice, la dolce Alice, ribolliva di rabbia. Sapeva di averla ferita e lei non gli fece sconti. Non si era fidato di lei, aveva scelto di tenerla all'oscuro. La ragazza non fece il nome di Anita mai, nemmeno una volta, ma aleggiò comunque per tutto il tempo come un fantasma tra di loro. Un non detto che pesava come un macigno. Non importava il fatto che Alice avesse sempre bollato come assurdi e incomprensibili i suoi sospetti sugli oscuri segreti celati da una famiglia che lei per prima si ostinava quasi a idolatrare. Non contava che, nel momento del bisogno, quando aveva perso Giovanni, il suo solo, improbabile alleato, fosse stata sua nipote la sola disposta a continuare ad aiutarlo. Agli occhi di Alice, era come se, in un certo senso, le avesse preferito Anita.

Leonardo non disse niente. Era giusto, lo meritava. Aveva sbagliato, non si era fidato di lei ma, in verità, lei non gli aveva mai dato ragione per fidarsi, non su quell'argomento, non quando riguardava la sua famiglia.

Quando ebbe finito di sfogarsi, rimase a fissarlo in silenzio, sfidandolo a replicare.

Leonardo sospirò. Era difficile. Anche in quel momento, nonostante tutto, era difficile ammettere quella verità, ammettere che, anche se avevano passato tanti anni insieme, anche se si conoscevano da sempre e per molto tempo si erano amati, c'era sempre stata una voragine tra loro, un vuoto incolmabile che aveva avvelenato il loro rapporto, portandoli al punto in cui si trovavano.

«Non avresti capito. Se anche te ne avessi parlato, non avresti capito. Sei come tutti gli altri qui in paese, prima di questa vicenda quando si parlava dei Bianchi non avete mai voluto sentire ragioni.»

Emozioni diverse e contrastanti si rincorsero in pochi attimi sul viso di lei. Rabbia, oltraggio, indignazione, dolore. Aprì la bocca, poi la richiuse, poi la riaprì di nuovo. Le cose che voleva dire erano troppe, semplicemente troppe perché riuscisse a decidere da quale cominciare. Alla fine però si morse il labbro e scosse la testa. Avrebbe potuto dire molte cose. Replicare, difendersi, giustificarsi, ma alla fine decise che sarebbe stato inutile, che nulla di quello che lei avrebbe potuto dire o fare avrebbe, a quel punto, potuto cambiare le cose. Ormai la voragine tra loro si era aperta, non esisteva nulla che potesse colmare quel vuoto. I rapporti naufragato miseramente nei silenzi, silenzi protratti per troppo tempo, fino al punto in cui anche il dialogo diviene inutile.

«Immagino che non lo sapremo mai» si limitò a dire. Raccolse la borsa e fece per uscire ma poi, come avesse avuto un ripensamento si fermò e si voltò nuovamente verso di lui. Nulla poteva cambiare le cose, certo, ma quella piccola soddisfazione almeno voleva prendersela.

«Hai sempre odiato la tua famiglia. Ora finalmente sei riuscito nell'intento, hai distrutto la loro reputazione. Spero che sarai soddisfatto.»

Uscì sbattendo la porta. Il bicchiere di vetro che Leonardo, furibondo per le sue parole, aveva istintivamente lanciato verso di lei s'infranse con frastuono contro lo stipite, ricoprendo il pavimento di una pioggia di schegge.

Perché nessuno lo capiva? Non era quello che voleva, non lo aveva mai voluto. Lui voleva bene alla sua famiglia, a tutti loro, solo che non sopportava il loro atteggiamento. Come aveva detto Anita, la verità non sempre è bella né piacevole, non sempre è quella che ci aspettiamo. Che cosa avrebbe dovuto fare? Chiudere gli occhi e infilare la testa sotto alla sabbia, come avevano fatto sua nonna Lidia e il prozio Giacomo? Fingere di non aver visto, di non aver mai saputo, e aspettare che tutto si risolvesse da sé, che il tempo lavasse le vecchie ferite? Era quella la dedizione alla famiglia che avevano cercato di inculcargli fin da bambino, era quella la cosa per cui quando era adolescente la mamma lo rimproverava di continuo?

Gli sembrava ancora di udire le sue parole rimbombargli nelle orecchie.

«Smetti di mancare di rispetto alla tua famiglia, Leonardo! Non hai rispetto, non hai dedizione... prendi esempio da tuo fratello Daniele! Lui sì che è un bravo ragazzo responsabile. Pensa che lui, quando era ancora più piccolo di te adesso, è persino rimasto accanto al bisnonno finché non è spirato!»

Daniele, il figlio perfetto...

Leonardo, che si era accasciato sul pavimento, scattò in piedi di colpo. No, non era possibile. Però era questo che aveva detto sua mamma, "è rimasto accanto al bisnonno finché non è spirato", e non è in punto di morte che i colpevoli scelgono, in genere, di alleggerirsi la coscienza?

Tutti pensavano che fosse suo padre, Matteo, il rigido custode delle tradizioni famigliari, ma nessuno era più implacabile, osservante e rispettoso di Daniele. Se lui avesse saputo di quale colpa si era macchiato il bisnonno? Cosa sarebbe stato disposto a fare per difendere la reputazione della famiglia?

All'improvviso se ne ricordò. Lui era lì, quando aveva parlato con la bisnonna per la prima volta. Lui aveva chiamato loro padre. Doveva aver sentito della lettera. Probabilmente aveva supposto che lui l'avesse data a Giovanni e che fosse rimasta a casa di Anita. Solo che lì non l'aveva trovata. Magari a quel punto aveva deciso di cercarla da Silvia, un'altra con cui suo sapeva che lui, Leonardo, spesso si confidava, e le cose era finite come erano finite.

Era un pensiero terribile, atroce...e ancora più atroce perché suonava così maledettamente plausibile.

Il giovane afferrò il cellulare e compose il numero di Anita. Se aveva ragione, la ragazza era in serio pericolo.

Il telefono squillò a lungo. Stava quasi per perdere le speranze quando all'altro capo della linea udì la voce affannata di lei.

«Pronto? Scusami, ero al piano di sopra e avevo lasciato il telefono in cucina...»

«Non preoccuparti di questo» la interruppe lui con urgenza «Anita, credo che sia stato mio fratello, credo che lui abbia ucciso Silvia.»

Un brevissimo istante di silenzio accolse la sua affermazione, rotto però quasi subito

«Sì, lo penso anch'io» ammise lei in un sussurro.

Non c'era tempo per chiederle come avesse fatto a capirlo.

«Ascolta» le disse «penso che tu sia in pericolo. Arrivo subito da te, ma tu chiuditi in casa e chiama la polizia» le intimò.

«Certo, farò quello che...»

Un urlo di sorpresa, il rumore del telefono che cade sul pavimento e poi all'improvviso silenzio.

Leonardo afferrò le chiavi della macchina e si precipitò fuori dal palazzo.

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Ci stiamo inesorabilmente avvicinando al culmine...e alla fine di questa storia. È tempo di risposte...ma saranno le risposte che vi sareste aspettate/i?

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora