Capitolo 34 - Il peso della gelosia

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Era un orario indecoroso, ne era consapevole, ma davvero non gli importava. 

Non gli importava nemmeno delle raccomandazioni di Lorenzo. Capiva che la rabbia dell'amico verso di lui era giustificata, ma era nulla in confronto a quella che provava nei confronti di sé stesso. 

Perché, perché anche quando agiva con le migliori intenzioni, finiva col rovinare sempre tutto?

Giovanni era diventato per lui molto più di un semplice consulente, era divenuto un vero e proprio amico. E lui non aveva saputo fare di meglio che trascinare prima lui, e poi la sua adorata nipote in quella storia sempre più folle e assurda. 

Non serviva a nulla ripetersi che Anita era una donna adulta, responsabile delle proprie scelte e caparbia almeno quanto lo era stato Giovanni, devota alla ricerca della verità tanto quanto lo era suo zio. Una donna che si era tuffata anima e cuore nell'impresa di scoprire cosa era successo ad Altariva tanti anni prima, che non si era arresa quando qualcuno era entrato in casa sua, che non aveva smesso di fare domande nemmeno dopo che Silvia, la sola apparentemente disposta a fornire qualche risposta, ci aveva rimesso la vita, e che non sembrava intenzionata a demordere nemmeno dopo che qualcuno aveva tentato di far tacere per sempre anche lei. 

Non poteva fare a meno di continuare a pensare che la colpa di tutto fosse sua, solo sua. Lui era andato da lei, lui l'aveva coinvolta. Avrebbe dovuto adoperarsi con maggior convinzione per dissuaderla dall'idea di continuare a seguirlo nella sua rischiosa ricerca, specie dopo quanto le era accaduto la sera precedente, ma la verità era che, nei più profondi recessi del proprio animo, lui non voleva farlo, non davvero. Convincerla a desistere, avrebbe significato ritrovarsi d'un tratto solo come non lo era mai stato.

Aveva perso la propria famiglia. Era l'inevitabile prezzo da pagare. Quando ti ostini a rimestare nel torbido non puoi lamentarti se alla fine qualche oscuro segreto viene effettivamente a galla. Questo poteva accettarlo, anche perché, per quanto dolorose fossero state le conseguenze, era ancora convinto di aver agito correttamente. Non era più solo questione di distruggere la patina di ipocrisia che avvolgeva la famiglia, il punto era fare in modo che una povera donna per troppo tempo dimenticata ricevesse giustizia.

Dopo quel giorno però, sentiva di aver perso anche Alice. 

Quando Anita era stata aggredita aveva dovuto raccontarle tutto, ogni cosa della quale l'aveva tenuta all'oscuro e, come era prevedibile, lei non l'aveva presa affatto bene. L'aveva ferita, tenendola in disparte, rifiutandosi di condividere con lei qualcosa di tanto importante come le scoperte fatte sulla scomparsa di Maria e sul ruolo che probabilmente aveva avuto la famiglia Bianchi nella vicenda. Aveva sbagliato? Forse. O forse lo aveva fatto solo per rimandare l'inevitabile.

Voleva molto bene alla giovane, la amava, ma Alice non aveva mai capito la sua ostilità verso la propria famiglia, e ancora adesso, nonostante quello che aveva scoperto, continuava a non comprendere. Era convinta che avesse agito solo per un meschino senso di rivalsa, non capiva che, quando scopri certe cose, non puoi tacere la verità.

Come potevano portare avanti la loro storia quando tra l'oro c'erano incomprensioni tanto grandi? 

Alice era rimasta in ospedale con Anita, e quando lui aveva lasciato la stanza non lo aveva nemmeno guardato. Nessuno dei due aveva ancora pronunciato le parole che avrebbero posto fine alla loro relazione, ma quanto poteva mancare perché ciò accadesse?

Scacciò quei pensieri dalla mente, mentre si precipitava verso la casa del prozio. Avrebbe avuto tempo per pensarci in seguito, per il momento doveva rimanere lucido, concentrato. Doveva fare la propria parte. 

Non voleva, non poteva perdere anche Anita. Era la sola compagna che gli fosse rimasta sul tortuoso cammino che aveva intrapreso, e se lei voleva la verità, allora, per Dio, l'avrebbe scoperta!

Si attaccò con insistenza al campanello, determinato a fare uscire dal letto l'anziano. Dopo qualche minuto udì un tramestio all'interno della casa, ma ci volle un po' perché la porta venisse finalmente aperta.

Giacomo, in pigiama e vestaglia, gli occhi impastati di sonno, lo fissò incredulo.

«Ma ti rendi conto di che ore...»

Non gli diede il tempo di concludere la frase.

«Mi hai mentito» lo accusò, sputandogli contro l'accusa con tutto l'impeto e la ferocia di cui era capace.

Il suo prozio sbatté le palpebre, come se non riuscisse a capire.

«Tu eri innamorato di Maria, ma lei non ti ricambiava. Lei amava Giorgio e sapevi che anche Giorgio l'amava, per questo l'hai accusato, volevi vendicarti» insistette Leonardo.

Giacomo sospirò profondamente. Scostandosi gli fece cenno di entrare. 

Lo condusse fino al salotto, illuminato solo dalla luce di una lampada da tavolo, e lo invitò a prendere posto su una delle poltrone, mentre lui occupava l'altra.

«Hai ragione» ammise l'anziano «io l'amavo.»

«E allora aiutaci a renderle giustizia una buona volta!» esclamò il nipote.

L'uomo rimase in silenzio, riflettendo. Leonardo poteva leggere l'esitazione, la lotta interiore che lo animava, nella sua espressione tormentata. 

Presa la propria decisione iniziò a raccontare. Le prime parole uscirono dalle sue labbra sofferte e a fatica, troppo a lungo trattenute, ma quasi subito presero a fluire spontanee e facili, mentre parlando si alleggeriva del peso che per decenni si era portato dentro.  

«Giorgio sapeva che io la amavo e sapeva che, dopo la sua scomparsa, io davo la colpa a lui. Circa un mese più tardi mi fece avere una lettera, era una di quelle che lui aveva scritto a Maria. Mi disse che il padre della ragazza gliele aveva restituite qualche giorno prima. Giorgio aveva deciso, aveva scelto lei e glielo aveva scritto, le aveva detto che avrebbe lasciato la famiglia e rotto il fidanzamento con Lidia. Voleva stare con lei. Sì, quel bastardo l'amava davvero» commentò amaramente. Si chinò verso di lui.

«Questo non cambia niente. Potrà anche essere stato nostro padre a uccidere Maria, ma Giorgio sicuro come l'inferno non era innocente. Se lui si fosse accontentato di Lidia, se avesse lasciato in pace Maria, nostro padre non se la sarebbe mai presa con lei.»

Sprofondò nuovamente nella poltrona, gli occhi umidi di lacrime.

«Perché non ha scelto me?» domandò a nessuno in particolare «Io ero perfetto per lei. Ero un Bianchi anch'io, ma ero il figlio minore, non l'erede. A nostro padre non sarebbe importato nulla, se lei avesse scelto me. Ci saremmo sposati. Avremmo costruito una famiglia, e lei avrebbe avuto la vita che meritava. Saremmo invecchiati insieme e lei non sarebbe finita...»

Si interruppe, soffocando a stento un singhiozzo, incapace di continuare. 

«Dov'è quella lettera, quella che ti aveva dato il nonno?» domandò implacabile Leonardo.

«L'ho bruciata» mormorò lui.

Leonardo si alzò, disgustato, e uscì dalla casa, lasciando il vecchio alla propria commiserazione.

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora