Capitolo 38 - Il tassello mancante

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«Tu sei una gattina davvero coraggiosa» sussurrò Anita, accarezzando la testolina di Venere, acciambellata sulle sue gambe, mentre Leonardo guidava con prudenza l'auto tra le curve e tornanti che li avrebbero condotti all'ambulatorio veterinario.

La prognosi fortunatamente si rivelò buona: Venere non sembrava aver riportato gravi danni nella colluttazione, anche se il dottore preferì trattenerla in ambulatorio per la notte, come precauzione.

Anita e Leonardo a quel punto si diressero insieme verso la stazione di polizia. Lorenzo fu così felice di trovarli ancora sani, salvi e tutti interi, che nemmeno li rimproverò. Mise comunque in chiaro che sia lui che i suoi superiori si aspettavano che rilasciassero al più presto una formale deposizione sugli eventi. Anita era la vittima e una testimone chiave, e Leonardo era in possesso di informazioni chiave per spiegare l'assurda catena di eventi che si era messa in moto ad Altariva. Ci aspettava che entrambi riferissero quanto sapevano senza reticenze e, naturalmente, a entrambi sarebbe stato chiesto di confermare tutto in un'aula di tribunale quando il momento fosse infine giunti.

Al pensiero di dover accusare pubblicamente il proprio fratello, Leonardo sentiva il cuore frantumarglisi in petto. A confortarlo almeno un poco fu solo il fatto che quanto da lui detto non sarebbe stato così determinante.

Daniele aveva confessato tutto, non solo davanti a loro, ma anche davanti agli agenti che lo avevano arrestato. Era come se, una volta dato il via al suo racconto fosse completamente incapace di smettere. Appena finito di parlare si era lasciato condurre via, docile come un agnellino. Una sola cosa aveva negato con decisione, di essere coinvolto nella prima aggressione ai danni di Anita. Una reticenza inspiegabile da parte sua: aveva ammesso l'omicidio di Silvia, il reato che più di ogni altro avrebbe pesato sulla sua condanna, che avrebbe segnato il suo futuro. Perché negare quella particolare colpa, quindi?

Gli inquirenti non diedero troppo peso alla questione. Era chiaro che il giovane uomo non stava bene, che la sua mente non era completamente lucida. Sicuramente avrebbe confessato anche quello, una volta pronto.

Stavano per lasciare la caserma quando Leonardo, di fronte a lei, si bloccò all'istante. Anita seguì la direzione del suo sguardo. Dinanzi a loro, seduti nel corridoio, Matteo e Veronica Bianchi attendevano insieme, stringendosi la mano.

Entrambi parevano irriconoscibili. Il viso della madre di Leonardo recava chiarissime le tracce del pianto, con il trucco sbavato, gli occhi arrossati, i capelli scomposti. Persino Matteo Bianchi aveva perso la propria granitica compostezza. Aveva l'aspetto di un uomo distrutto, annientato.

Gli occhi del figlio incrociarono quelli del padre.

Istintivamente Anita strinse la mano di Leonardo, per manifestargli il suo muto sostegno. Leonardo annuì, trasse un profondo sospiro e si avviò a passo deciso verso i genitori.

«Non dirò che quello che è successo è colpa vostra» esordì «né accetterò di sentirmi dire che è colpa mia. Tutti abbiamo sbagliato, ma è uno sbaglio così vecchio che sarebbe assurdo cercare i colpevoli. È solo questo che ho cercato di dirvi in tutti questi anni: avete visto a cosa possono portare tutti quei discorsi sulla tradizione e sull'onore della famiglia?»

«Ho solotanto cercato di dargli uno scopo nella vita, qualcosa in cui credere, dei valori da difendere» mormorò suo padre. Alzò gli occhi. Anche i suoi, come quelli della moglie, erano lucidi e arrossati «Daniele non era come te, non è mai stato come te.»

Leonardo rise.

Il padre scosse il capo.

«Non è come pensi. Sì, è vero, lui era ubbidiente, mentre tu non ascoltavi una sola parola di quello che ti dicevo, ma quello che intendo dire è che in realtà tra i due eri tu quello forte. Lui era debole, è sempre stato debole. Ho cercato di dargli qualcosa in cui credere, qualcosa da difendere. E questo è il risultato, il mio primogenito in prigione, dopo che ha ucciso una donna e tentato di ucciderne un'altra, e tutto per difendere la persona sbagliata.»

Anita spalancò la bocca, e anche Leonardo apparve sorpreso.

«Cosa intendi dire?» domandò sospettoso.

«Mio nonno non ha mai ucciso Maria Bucci, ma aveva comunque le mani macchiate di sangue» dichiarò Matteo. Estrasse dalla tasca della giacca una busta, un voluminoso plico che recava impresso lo stemma dei Bianchi:

«È tutta qui, figlio, la verità che hai sempre voluto conoscere, la storia segreta della nostra famiglia. Nonno Luigi me l'ha affidata un anno prima di ammalarsi, avrebbe voluto che io la consegnassi a voi non appena foste stati pronti, perché il peso della colpa lo ha tormentato fino alla morte. Avrei dovuto farvela leggere anni fa. Non ho avuto il coraggio di farlo e questo è il risultato. Avevo paura di quello che sarebbe successo alla nostra famiglia, ma nulla, assolutamente nulla, avrebbe mai potuti essere peggio di quello che ci è accaduto oggi. Ora lo so»

Leonardo prese il plico dalle mani tremanti del padre e a quel punto l'uomo si accasciò in lacrime sulla sedia, circondato dall'abbraccio protettivo della moglie.

Leonardo aprì la busta. Lesse il contenuto e immediatamente sgranò gli occhi.

Passarono alcuni minuti e Anita attese, trepidante. Leonardo non le disse nulla, non appena ebbe terminato la lettura si limitò a porgerle i fogli.

Anita pensò che fosse giusto, quasi poetico, che quella vicenda iniziata con una lettera, si concludesse proprio con un'altra lettera. Lesse il contenuto e il mosaico dell'orrore puro le si dipanò innanzi agli occhi in tutta la sua orribile completezza.

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora