Capitolo 2 - Altariva

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Einstein una volta disse: "La sola cosa che è davvero importante conoscere è la posizione della biblioteca", ed era un motto che Anita aveva da tempo fatto proprio. Si svegliò con quel preciso obiettivo in mente: scoprire l'ubicazione del locale tempio del sapere.

Aveva tempo. Il camion con le sue cose non sarebbe arrivato prima del tardo pomeriggio.

Tredici ore di sonno quasi ininterrotto l'avevano rinfrancata nel corpo e nello spirito. Si sentiva leggera, più rilassata di quanto non lo fosse da molti mesi a quella parte.

Erano appena le sette del mattino, aveva tutta la giornata davanti a sé.

Recuperò lo zaino e i viveri dal salotto, sostituì i vestiti sgualciti con un paio di pantaloncini di jeans e una maglietta verde a maniche corte e frugò nella borsa del cibo alla ricerca di qualcosa di appetibile con cui fare colazione.

Osservò sconsolata il triste croissant e il pacchetto di biscotti che aveva acquistato il giorno prima all'aeroporto. Nessuno dei due era uscito indenne dal viaggio. Ebbe un ripensamento. Si lavò velocemente la faccia, pettinò i lunghi capelli ramati, che raccolse in una coda, afferrò la borsa, le chiavi e, senza truccarsi, uscì di casa.

Lasciò la macchina in cortile. A quell'ora del mattino il sole estivo inondava il mondo di un calore ancora piacevole. Era il momento perfetto per una passeggiata, avrebbe raggiunto a piedi il paese.

La salita che separava la sua casa da Altariva rappresentò una sfida. La pendenza, sottostimata perché affrontata in macchina, mordeva i polpacci, le faceva dolere le gambe. Un chilometro non è affatto una distanza eccessiva, se percorso su un terreno pianeggiante ma in salita... in salita, per chi non è abituato, è tutta un'altra storia.

Camminò a lato della strada, a ridosso degli alberi, evitando accuratamente ortiche e rovi, sue vecchie conoscenze. Il petto di Anita si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro affannoso. La fatica venne però ripagata non appena dinanzi a lei si aprì il primo scorcio del paese.

Pochi erano i suoi ricordi di quel luogo. Era raro che, quando venivano a trovare lo zio, lei e i suoi genitori si spingessero fino alla cittadina. Anche lo zio Giovanni, schivo e riservato, vi accompagnava di rado la bisnipote. Preferiva portarla con sé nell'orto, oppure a passeggiare tra gli alberi del bosco vicino a casa.

Altariva era un paese piuttosto grazioso, ordinato, pulito, un paesaggio quasi da fiaba. Le vie strette si aprivano tra antiche case di sasso, appena intervallate ad alcune costruzioni più recenti.

Prima di trasferirsi, Anita aveva fatto qualche ricerca online. Il paese aveva origini antiche e un passato burrascoso. La zona, come tutto l'Appennino Emiliano, aveva conosciuto la devastazione della guerra. Alcune vestigia dell'antichità erano sopravvissute, certe case erano state ricostruire con un occhio di riguardo per quello che era stato il loro aspetto prima del conflitto. Accanto a loro erano gradualmente sorti edifici più moderni, in un insieme nel complesso sorprendentemente armonioso. I balconi delle case erano ravvivati da cascate variopinte di gerani e surfinie, i giardini curati erano illuminati dalla dolce luce del mattino, il tutto contornato dalla splendida cornice naturale dei boschi e dei declivi, con la sagoma imponente del campanile che svettava in lontananza sullo sfondo. Non sorprendeva che la cittadina, come annunciato orgogliosamente dal sito del Comune, avesse da poco scoperto la propria vocazione turistica.

Percorse Via del Borgo guardandosi attorno, curiosa.

Al termine della via l'accolse la piazza del paese, un ampio spiazzo circolare interdetto al traffico in cui le panchine, affiancate da rustici ciocchi di legno scavati e usati come fioriere, offrivano l'opportunità di una piacevole sosta. Una fontana, discreta ed elegante, sorgeva al centro, e alle sue spalle il palazzo del Comune. Una stretta viuzza si apriva alla sua sinistra, separandolo dal successivo edificio, una costruzione a quattro piani dall'aspetto più recente e dalla facciata color rosa antico, avvinta dall'abbraccio dell'edera rampicante che cresceva nei vasi posti a lato della porta d'ingresso. Un'insegna a lato della stessa lo identificava come "La Freccia d'Argento", l'antico albergo del paese. Un tempo era una locanda. Distrutto durante la guerra, era stato ricostruito con un occhio di riguardo per la comodità dei futuri ospiti, subendo significativi ammodernamenti che ne avevano alterato l'aspetto, senza però sminuirne l'illustre passato. Accanto al nome, sull'insegna, facevano mostra di sé tre lucenti e più che dignitose stelle.

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora