Capitolo 24 - L'accusa

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La visita di Silvia non fu la sola che Anita ricevette quel giorno. In rapida successione si presentarono a casa sua Piero con la sua cagnolina Lilli, Letizia e Serena.

Piero si trovava a passare da quelle parti e aveva deciso di fare un salto, giusto per controllare che fosse tutto a posto, o almeno così le disse.

Letizia e Serena invece, a quanto pareva, erano venute per sommergerla di materne reprimende circa il comportamento imprudente da lei tenuto di fronte all'intruso. Anita si mostrò debitamente contrita, ma le due donne, per nulla rassicurate da questa sua presa di coscienza le tennero compagnia per tutto il pomeriggio. Probabilmente per tenerla d'occhio. Aveva il sospetto che, se non ci fossero state le famiglie ad attenderle a casa, avrebbero piantato le tende in cortile. 

Letizia si offrì addirittura di ospitarla a casa sua per qualche giorno, nella stanza degli ospiti, ma lei non volle sentire ragioni. Nessun ladro al mondo avrebbe mai potuto costringerla ad abbandonare quella casa, anche se solo per pochi giorni. Non gliel'avrebbe certo data vinta a quel modo. Senza contare che, se si fosse allontanata, lasciando l'abitazione incustodita, chiunque fosse stato avrebbe potuto riprovarci, con tutta la calma e l'agio di chi è lasciato libero di agire indisturbato.

Quella sera fu il turno di Leonardo e Alice, che si presentarono muniti di pollo, patate arrosto e una sincera preoccupazione per lei. Si offrirono di rimanere a dormire, per evitare che dovesse passare un'altra notte da sola. In un'altra circostanza avrebbe rifiutato ma, per una volta, decise di mettere da parte l'orgoglio. Forse anche perché, dopo una intera giornata in cui era stata sommersa dalle amorevoli preoccupazioni dei suoi nuovi compaesani, l'avevano ormai presa per sfinimento. 

Mentre mostrava loro la stanza, rimasta un momento da sola con Leonardo, ebbe modo di porgli la domanda che l'aveva tormentata tutto il giorno.

«Pensi che tuo padre possa essere coinvolto in qualche modo?»

Leonardo considerò seriamente la possibilità. Suo padre non era il tipo da sporcarsi le mani, ma avrebbe sempre potuto pagare qualcuno per farlo al posto suo. Il denaro certo non gli mancava.

«Non lo so» fu costretto ad ammettere alla fine.


La mattina seguente il cielo minacciava tempesta. L'azzurro dei giorni precedenti era oscurato da fitte nubi nere, quelle che promettono temporale. I suoi ospiti erano venuti a piedi la sera precedente, Anita decise quindi di scortarli in paese in auto, per evitare che si infradiciassero.

Li accompagnò fino alla casa di Leonardo, un appartamento in uno dei condomini di più recente costruzione. Notò immediatamente una volante della polizia parcheggiata davanti alla casa di fronte. Lei e i suoi amici scesero dalla macchina.

Un suono sovrastava persino il rombo del tuono, quello delle urla della signora Gigliola che, ritta nel cortile, fronteggiava gli agenti. Riconobbe uno dei due. Era Lorenzo, l'amico di Leonardo, quello che era andato da lei il giorno prima.

«Sia ragionevole, signora Bucci» stava dicendo «noi stiamo solo facendo il nostro lavoro. Le garantisco che la procedura sarà rapida, indolore e senza conseguenze. Abbiamo controllato bene, sua sorella è la sola persona originaria della zona di cui si siano perse le tracce all'improvviso negli ultimi novant'anni, i nostri tecnici hanno bisogno del suo DNA.»

«Non possono essere le sue ossa» replicava ostinatamente l'anziana «lei se n'è andata, è scappata con un uomo, coprendoci di disonore.»

«Se non è lei, questo esame ce ne darà la prova definitiva» spiegò paziente Leonardo.

Gigliola scosse con forza la testa. Sfortunatamente in quel momento il suo sguardo si posò su Anita che, dall'altra parte della strada, insieme a Leonardo e Alice, assisteva alla scena. Con una rapidità impressionante vista la sua età, scattò nella sua direzione. Gli agenti rimasero immobili, troppo sconcertati per fermarla.

«Tu, è tutta colpa tua» la accusò «tua e di tuo zio. Non potevate farne a meno, vero? Voi e le vostre domande! Perché non lo capite, perché? Il passato deve rimanere passato, quello che è sepolto deve restare sepolto. Cerca di capirlo, prima che sia il passato a seppellire te». 

Lorenzo e il suo collega si frapposero tra loro, impedendo a Gigliola di avvicinarsi ulteriormente.

Anita, troppo turbata per fare o dire qualsiasi cosa, venne scortata via da Leonardo e Alice, che la fecero salire nell'appartamento, lontano dalle urla della vecchia arpia.

Dopo vari sforzi e, probabilmente, dando fondo alla scorta di pazienza di una vita intera, Lorenzo e l'altro uomo riuscirono a convincerla a salire sulla volante e a seguirli in centrale.

Nel silenzio che era improvvisamente calato, la voce di Alice, ancora sconvolta, dichiarò: «Quella è davvero una vecchia pazza.»

Anita e Leonardo si scambiarono un'occhiata carica di comprensione. Pazza lo era di certo, su quello non potevano esserci dubbi. Pazza, e a suo modo spaventosa. La scena alla quale avevano assistito potevano significare una sola cosa. Un palpito di emozione attraversò all'unisono il cuore dei due giovani, la soddisfazione di chi si rende conto che finalmente qualcosa incomincia a cambiare, che la propria voce non rimarrà per sempre inascoltata. 

Di fronte all'impietosa verità di quelle ossa nude, riemerse dalla terra del bosco, non era più possibile mantenere il silenzio. C'era un corpo, c'era stata una scomparsa, e c'era il dovere di fare luce sulla vicenda.

Gigliola era l'ultima consanguinea vivente di Maria, e poteva esserci una sola ragione per quella convocazione da parte della polizia: un test del DNA, e il DNA di certo non avrebbe mentito. 

Finalmente qualcosa iniziava a smuoversi, finalmente i lenti ingranaggi della ruota della giustizia iniziavano a girare. Per Leonardo era una notizia elettrizzante, e avrebbe dovuto esserlo anche per Anita. 

Le ultime parole di Gigliola, però, continuavano a risuonarle nelle orecchie come un sinistro presagio di sventura.

Sotto allo sguardo indifferente degli alberiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora