6. Latibule

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Se non giochi col fuoco,
morirai di freddo.

Jace.

Tre giorni. Erano tre giorni che non mi degnava nemmeno di uno sguardo. Tre maledetti giorni che faceva finta che io non esistessi.

Da tre giorni, stavo vivendo nell'ombra della sua indifferenza, un'esperienza che stava rendendo ogni istante un peso insostenibile. In quelle lunghe e interminabili ore, sembrava quasi negare la mia esistenza, ignorandomi con una freddezza che tagliava profondamente.

«Sai che non sarà mai lei a venire da te, vero?» Logan mi punzecchiò all'orecchio, dandomi una spallata.

Gli lanciai un'occhiataccia, intimandolo a stare zitto. Non avevo voglia di starlo a sentire, ultimamente non avevo proprio voglia di fare un cazzo, in realtà.

«Sai quanto me ne frega?» Abbandonai lo sguardo sulla mia sigaretta, sperando che lei sparisse prima che alzassi di nuovo gli occhi.

«Ti conosco Jace, ti conosco troppo bene, purtroppo o per fortuna, come ti pare.» Sospirò, come se fosse una condanna. «Lei ti piace.»

Alzai le spalle, rimanendo apparentemente tranquillo.

«Mi piace, sì. Nulla di strano, é comunque una bella ragazza, mi piacciono tante ragazze.»

«Non hai capito, lei ti piace proprio, ti piace e basta. Ne sei attratto, ti sei perso.»

Aggrottai le sopracciglia in segno di perplessità, voltandomi verso di lui con una espressione interrogativa dipinta sul volto. Non riuscì a trattenere una risata spontanea, che risuonò nel cortile interno di Harvard, attirando l'attenzione curiosa di chiunque si trovasse nelle vicinanze.

«Che hai preso? Cocaina? Anfetamina? Aspetta, non dirmelo, hai preso della ketamina, per questo hai le allucinazioni?» Placai la mia risata, ma ancora con un sorriso in faccia. «Gesù, ma che cazzo ti salta in mente?»

Logan rise, e si leccò le labbra, compiaciuto.

«Continui a fissarla, e le stai incollato al culo anche se lei non ti considera. Segui ogni suo movimento e ti incazzi se qualcuno respira la sua stessa aria. Sono tre giorni che sei più teso di una corda di violino, solo perché non ti degna di uno sguardo. Ti sei rifiutato di scoparti la bionda tutta tette di ieri sera, Jace.» Mi spiegò più accuratamente possibile, appoggiando i gomiti dietro la schiena, sugli scalini dov'eravamo seduti. «Sei fottuto, amico.»

Sbarrai leggermente la bocca e lo fissai impietrito.

«Sarebbe successo, sapevo che sarebbe successo. Prima o poi succede a tutti, anche ai più cattivi.» Aggiunse, imperterrito. «Quelli cattivi come te, intendo.»

«Va un po' a farti fottere.» Sbottai, tirandomi in piedi.

Rise di nuovo, trovando forse la cosa divertente, e mi fissò dal basso, scoccando la lingua contro il palato.

«Lo senti, vero Jace?»

Mi paralizzai, inchiodai nei suoi occhi verdi e lucenti, che mi stavano affettando come carne fresca da macello.

«Ti senti come se fossi su di un filo, in bilico, sospeso tra l'eccitazione e la vulnerabilità.» Si alzò e si parò ad un palmo dal mio viso, leccandosi le labbra, sembrava quasi che provasse eccitazione nello sbattermi in faccia quello che non sapevo di provare. «Ogni suo sguardo ti eccita, il suo profumo ti fa stringere lo stomaco come se ci fossero dentro delle cazzo di farfalle a solleticarti, il calore della tua pelle ti fa desiderare di farla tua, di possederla, di toccarla e venerarla come se fosse la tua religione. Una dolce dipendenza, un'attrazione irresistibile.»

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