35. Tears

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Per avere cose mai avute,
si devono fare cose mai fatte.

Becky.

Due ore di silenzio avvolgente pesavano sul ritorno carico di tensione, il sole cedeva il passo al tramonto, portando con sé il tempo condiviso lontano dalla realtà. Il mio cuore si stringeva lungo la strada di casa, mentre Cora, sul sedile posteriore, mi lanciava occhiate furtive, trattenendo saggiamente le parole dopo l'esplosione di Jace contro di lei, quando aveva cercato di chiedere spiegazioni sull'accaduto.

All'arrivo a casa di Cora, Logan trascinò la sua ragazza fuori dalla macchina e chiuse lo sportello con tale violenza che mi fece sobbalzare, manifestando chiaramente la sua rabbia verso il suo amico. Avevo udito una discussione tra loro prima di partire, ma ero così confusa in quel momento che le frasi erano state solo un groviglio di parole senza senso per me.

Cercai di mandare giù il groppo in gola, presente da ore, ma sembrava ancorato lì, senza intenzione di andarsene. Chiusi gli occhi per un istante, inspirai profondamente, quindi lanciai uno sguardo fuori dal finestrino.

Rimasti ormai soli, Jace guidò in silenzio fino a casa mia, come se desiderasse liberarsi di me il prima possibile. Per questo, quando fu davanti al cancello, drizzai le spalle, invasa da una strana sensazione di disagio.

«Lasciami qui.» Ordinai, appoggiando la mano sulla maniglia, per scappare il prima possibile.

La macchina si arrestò, ma lui prontamente mi afferrò capendo il mio intento, bloccandomi per il polso.

«Era tutto un gioco, honey.» Mi spiegò a denti stretti, guardandomi dritta negli occhi. «Un gioco studiato nei minimi dettagli.»

Il mio sguardo si affilò perplesso, senza capire appieno a cosa si riferisse. Tuttavia, quando notai il suo viso contratto dall'ira, la realizzazione si fece strada nella mia mente, togliendomi il fiato.

L'aria cominciò a mancarmi, tanto che mi strattonai con forza dalla sua presa e dovetti uscire dall'abitacolo per cercare ossigeno, mi aggrappai alla carrozzeria nera per non cedere. Mi portai una mano alla fronte, tutto intorno a me cominciò a capovolgersi e girare senza sosta.

Mi voltai per osservarlo, ancora seduto sulla maledetta macchina. Quando finalmente incrociai il suo sguardo, il respiro iniziò ad accelerare. Fissai quegli occhi in cui avevo sempre avuto fiducia, ma che all'improvviso erano diventati indecifrabili.

Tutto quello perché gli avevo confessato di amarlo? Aveva davvero così paura?

«Che significa?» Il mio palato era arido, la mente in fuga lungo un corridoio buio e senza vie d'uscita.

Scese dalla macchina e cercò di raggiungermi con grandi falcate, ma istintivamente mi precipitai verso il cancello e in un gesto repentino glielo chiusi in faccia, consapevole di dovermi proteggere da ciò che avevo inconsciamente previsto.

La sua mano si aggrappò alle sbarre, infilandosi tra gli spazi vuoti, mentre con l'altra afferrava il mio braccio, impedendomi di muovermi. Ringhiò, come un cane rabbioso e assetato di sangue, i suoi occhi bui e tenebrosi si fissarono nei miei.

«È finita.» Digrignò tra i denti. «In realtà, non é mai iniziata.»

Mi paralizzai. Fu un colpo diretto al cuore, come una lama che metteva fine ad ogni fetta di felicità che avevo condiviso con lui.

«Pensavi davvero che mi sarei potuto innamorare di te?»

Il mio corpo si contrasse.

«Pensavi che io fossi così debole da fottermi il cervello per te?»

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