40. Kyomu

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Come un pugno
allo stomaco.

Jace.

Abbassai gli occhiali da sole sul naso e accesi la sigaretta una volta sceso dalla macchina, poggiandomi con la schiena alla carrozzeria. In quel preciso istante, Logan uscii di casa, scese i gradi velocemente e si fermò davanti a me, facendo roteare le chiavi del suo pick-up tra le dita, con un sorriso da idiota e lucente stampato in faccia.

«Cos'é che ho interrotto di così importante?»

Ma perché cazzo era felice?

In pochi secondi mi stava infastidendo così tanto che gli avrei fatto mangiare il mio pugno e fatto sanguinare i denti.

Il fumo sfuggii con uno sbuffo mentre chiudevo leggermente gli occhi e rimanevo in silenzio, lasciando che un raggio di sole filtrasse sopra gli occhiali e mi accecasse.

Lo sguardo del mio amico si piantò su di me, come un fastidioso chiodo, inclinò la testa e poi spalancò leggermente la bocca, come se mi avesse letto dentro. Lui percepiva sempre ogni cosa, come se fosse parte della mia cazzo di anima.

«Non dirmi che...» Lasciò la frase in sospeso e assottigliò lo sguardo.

Alzai gli occhi al cielo, poi mi staccai dalla macchina per dirigermi verso la sua, balzando sul lato passeggero con una mossa decisa.

«Dove stiamo andando esattamente?» Gli chiesi, gettando il mozzicone di sigaretta dal finestrino con un gesto che lasciava intendere che non ero propenso a discuterne in quel momento.

Le parole di poco prima a Becky erano già state un peso da esprimere per i miei standard, e non avevo bisogno anche delle sue stronzate, visto che mi sentivo già tremendamente in colpa per tutto quello che stava succedendo.

«A prendere delle rose.»

«Eh?» Lo guardai perplesso. «Hai bisogno di me per andare a comprare delle cazzo di rose?»

Logan rise, immergendosi sulla via principale verso il centro di Boston. Poi, tirò fuori dalla tasca del giubbotto di jeans una scatolina in velluto blu e me la porse.

«Cinquecento rose per l'esattezza.» Appuntò, scoccando la lingua contro il palato.

Aggrottai le sopracciglia e assottigliai lo sguardo, prendendo tra le mani l'oggetto. Lo aprii senza esitare, rimanendo sconvolto di fronte a ciò che conteneva.

«Stupendo, vero? É un Wittelsback Graff, uno dei diamanti più rari e costosi al mondo.» Mi spiegò. «Appartiene alla mia famiglia da cinque generazioni, vale ottanta milioni di dollari.»

Alzai gli occhiali da sole sulla testa, perdendomi nel blu intenso della pietra, che inevitabilmente mi ricordò i suoi occhi profondi.

«Non é stato facile convincere mia madre.» Sbuffò. «Ma alla fine ha capito che la amo e che non potrò mai rinunciare a lei, per niente al mondo.»

«Che cazzo significa?» Gli lanciai un'occhiata veloce, poi tornai con lo sguardo su quello che avevo davanti, ipnotizzato da tale bellezza.

«Voglio chiederle di sposarmi.»

Sbarrai gli occhi, il fiato si incastrò in gola come se si fosse annodato in una pallina da baseball, creando un nodo di tensione nell'aria.

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