44. Wabi Sabi

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Sognarsi senza sfiorarsi.

Jace.

Quando giunsi a casa, mi sgretolai dall'auto con una rapidità tale che tradiva una crescente rabbia e frustrazione. Quei maledetti stronzi dei medici mi avevano fatto perdere più tempo del previsto, e i miei muscoli erano pervasi da un nervoso viscerale così intenso che avrei spaccato tutto.

«Jace!»

Ignorai mia madre che mi veniva incontro e a passo svelto raggiunsi la camera degli ospiti, poi verso quella dove avevo fatto posizionare il pianoforte.

Ma non c'era.

Maledizione, lei non c'era.

Un mugolio di disperazione sfuggii dalle mie labbra, facendo tremare le pareti quando sbattei la mano sul muro. Mia madre mi afferrò per le spalle, costringendomi a guardarla. Ultimamente lei e Deacon mi stavano troppo tra i piedi, e cominciavo ad odiare quella situazione.

«Vuoi darti una calmata?»

La scansai con fastidio, dirigendo uno sguardo di sfida verso Deacon, il quale mi osservava a sua volta con disapprovazione, ancora saldo sulla soglia d'entrata.

«Se né andata poco fa.» Sospirò mia madre, capendo che era l'unica cosa di cui volevo parlare. «Per favore, calmati adesso.»

Esalai un profondo respiro e mi sfiorai il volto con una mano, stringendo le labbra. Nonostante avessi dormito per tutto quel tempo, la stanchezza persisteva al punto tale che avrei potuto dormire per due giorni di fila se solo lei fosse rimasta con me.

«Come ti senti? Che hanno detto i medici?»

Il susseguirsi delle sue domande mi fece bollire il sangue nelle vene, ma quando sollevai lo sguardo e mi scontrai nuovamente con lo sguardo severo di Deacon, decisi di trattenere l'impulso di sfuriare. In quel momento, una tensione percepibile riempii l'aria, la mia rabbia sospesa tra le parole non dette e il rimprovero severo di Deacon che pesava come un giudizio imminente mi costrinse a reprimere le fiamme che avevo dentro.

Feci una smorfia di fastidio, mi morsi la lingua cercando di tenerla a bada, e alzai gli occhi al cielo. Gesù, da quando io e lui eravamo di nuovo così in sintonia?

Nonostante il mio dispiacere nel riconoscerlo, dovevo ammettere a me stesso che mi era mancata la nostra complicità.

Espirai l'aria pesante accumulata nei polmoni e mi voltai verso mia madre. Nemmeno lei aveva un bell'aspetto; eravamo tutti impregnati dalla stanchezza.

«Sto bene, mamma, sta tranquilla.» Mi costrinsi a rispondere con quella briciola di calma che mi era rimasta.

«Sei sicuro? Sei pallido.» Alzò le mani e le poggiò sulle mie guance, ma io mi tirai indietro infastidito.

«Sarebbe dovuto restare ancora in ospedale, gli esami non sono andati bene.» Intervenne Deacon, mentre sistemava il cappotto nell'attaccapanni. «Ma ovviamente, é una testa di cazzo ed é voluto venire via.»

«Jace!» Esasperò mia madre.

Scagliando uno sguardo infuocato a Deacon, strinsi le labbra. Ma che avevo? Due anni?

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