22. Eccedentesiast

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Sentirsi senza toccarsi.

Jace.

Le mie dita si intrecciavano tra i suoi capelli, sfiorando delicatamente le ciocche scure mentre osservavo il suo volto rilassato posato sul mio petto. Dormiva profondamente, come una bambina esausta, e l'idea di lasciarla mi risultava insopportabile. Il suo respiro regolare e tranquillo mi rassicurava, mi faceva sentire completo, come un suono soave per la mia mente frastornata.

Il mio cuore pulsava freneticamente, quasi a voler sfondare la gabbia toracica. Le mani prudevano, gli occhi ardevano. Era lii, piccola e indifesa, la sua fragilità accogliente perfettamente al mio fianco. Sentivo che mi apparteneva interamente, e mentre la guardavo dormire in quel modo così dolce, mi resi conto di quanto fosse preziosa per me.

Lei era mia.

Mi innervosii. Non volevo provare quello che stavo provando, ma quando ero in sua presenza era inevitabile. Ogni volta che la guardavo, sentivo un calore diffondersi dentro, qualcosa di piacevole e forte di cui cominciavo a non poterne più fare a meno.

Lasciai andare l'aria via dai polmoni e, controvoglia, mi spostai sfilandomi via dal letto. Adagiai la sua testa sul cuscino, scostandole i capelli dalla fronte sistemandoli dietro le spalle, era talmente stanca che non si accorse di nulla.

Si rannicchiò su se stessa stringendosi nella coperta pesante, facendosi piccola e quasi invisibile. Era bella, ogni lineamento al posto giusto. Il suo viso come un'opera d'arte, con ogni dettaglio al suo posto. Le passai le dita sulla guancia scavata e arrossata dalle lacrime, sul mento, e poi delicatamente sul taglio sulle labbra, che mi faceva salire una rabbia disumana.

Era stato lui a farle del male, ne ero più che certo. Forse, perché aveva capito che era stata con me quella mattina e aveva messo in atto quella minaccia?

Ingoiai il groppo in gola, drizzai le spalle e raggiunsi la porta. Strinsi la maniglia fredda sotto le dita, lanciandole un ultima occhiata prima di lasciare quella stanza.

«Che ci fai tu qui?» Ryan si parò davanti a me, a metà corridoio, guardandomi confuso.

Era notte, ormai. La festa era finita, c'era silenzio.

«Voglio sapere che cazzo succede.» Gli ringhiai contro, a voce bassa.

Lui drizzò le spalle, un impeto inconfondibile di preoccupazione gli attraversò lo sguardo.

«Non sono cose che ti riguardano, Jace.» Stava per scansarmi, ma io lo bloccai.

«È vostro padre a farle questo? Che cazzo di problemi ha quell'uomo?»

Ryan lasciò andare una risata isterica e si passò una mano sul viso guardandosi intorno, poi mi puntò addosso lo sguardo rabbuiato.

«Smettila di far finta che ti importi di mia sorella.» Sbottò.

Mi paralizzai, assottigliai lo sguardo su di lui e strinsi i pugni.

«So cosa stai facendo, vedo come la guardi; la vuoi, la desideri.» Mi venne vicino, provocandomi. «Per te è diventata una sfida, perché lei non ti ha ancora dato quello che tutte le altre ragazze ti danno subito.»

«Tu sei fuori di testa.» Risi, tirandomi indietro.

L'idea di sentirne ancora una mezza parola mi spinse sull'orlo, tanto che se ne avesse proferita un'altra, avrei sfogato la mia frustrazione con un pugno sul suo naso. La verità che mi stava sputando in faccia era un dolore che non avrei ammesso, e che mi faceva sentire uno schifo.

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