36. Momoritai

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Reciproci
solo nell'odio.

Jace.

Mi accesi una sigaretta con gesti nervosi, sbattendo poi con forza lo sportello della macchina dopo essere sceso. La notte era profondamente oscura, ormai quasi in procinto dell'alba. Il tempo si era confuso dopo averla lasciata; chiuso in quel locale, dove avevo cercato di anestetizzare i pensieri con ogni sorso d'alcol sperando di perdermi.

Ma chi cazzo voglio prendere in giro? Non riuscirò mai a cacciarla dalla mia testa.

Aspirai avidamente e spinsi con fatica il portone di casa, entrando barcollando. Il livello di whiskey era così tanto in corpo che la mia vista era annebbiata, l'unica cosa di cui avevo bisogno era di una doccia e di sprofondare nel mio cazzo di letto per l'intera giornata, mandando al diavolo qualsiasi cosa che non fosse la mia salute mentale, sperando che dopo quel casino me ne sarebbe rimasta almeno una briciola.

Mi inoltrai nel corridoio per raggiungere le scale, ma improvvisamente mi fermai. Con le sopracciglia aggrottate, scrutai il salone e notai mia madre e Deacon seduti sul divano, avvolti nella penombra di una lampada accesa, i cui sguardi si posarono immediatamente su di me.

Ma che cazzo stavano facendo?

Una strana sensazione mi attraversò la spina dorsale, ma l'alcol che avevo ingerito impediva alla mia mente di affrontare seriamente quella situazione surreale.

«Cos'é?» Risi, disperdendo il fumo con un sospiro, consapevole dell'avversione di mia madre per le sigarette in casa. «State confessando i vostri peccati? Gesù, neanche un bagno nell'acqua santa riuscirebbe a salvarvi.»

Deacon si alzò in piedi, lasciando la stretta che aveva su di lei, il volto intriso d'ira e disperazione, i pugni stretti lungo i fianchi e la puzza di brandy nauseante. Avvicinandosi, mi tolse la sigaretta dalla bocca e, con un gesto svelto, aprii la finestra accanto a noi e la lanciò fuori.

«Dove cazzo eri?» Mi ringhiò contro, alzando la voce, come se gli dovessi delle spiegazioni.

«Da quando devo darti conto?» Inarcai un sopracciglio.

Rise in modo isterico, passandosi una mano sul volto e scuotendo il capo. Sembrava sull'orlo di un crollo mentale o una crisi nervosa che avrebbe fatto esplodere l'universo.

Indietreggiai di un passo, andando a sbattere contro lo stipite della porta.

«Puzzi di alcol, di erba, ma che ti dice il cervello?» Mi sbraitò contro.

«Deacon, per piacere.» La voce di mia madre tremò, infranta dalle lacrime.

Assottigliai lo sguardo, confuso.

«Che dannazione sta succedendo?» Il mio sguardo balzò da uno all'altra quando mi resi conto che entrambi stavano celando qualcosa.

Un prolungato silenzio si installò. Deacon infilò le mani in tasca, alzò il mento, e i suoi occhi si persero fuori dalla finestra per un istante. Inspirò, come se stesse cercando di radunare ogni briciola di calma che gli restava in corpo.

Mi passai una mano sul collo e ispirai, l'aria cominciava ad essere irrespirabile.

«Ricordi quella notte, Jace?» Incrispò la situazione, inchiodandomi di nuovo lo sguardo addosso.

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