20. Parce metu

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Le cose che voglio da morire,
non le chiedo mai.

Jace.

Detestavo la palestra di Harvard e le lezioni noiose della professoressa Pennys, non avevano nessun senso, motivo per cui le evitavo fin dal primo giorno di scuola. Tuttavia, in quella particolare giornata, mi ritrovai costretto a rimanere lì solo per non perdere di vista Becky.

Mi accomodai su un materasso nell'angolo, come se il conto non fosse mio e non facessi parte di quella stupida classe, osservando il resto da lontano con una sigaretta tra le labbra.

«Pressley! Ma cosa stai facendo?» esclamò la professoressa, gli occhi sembravano minuscoli dietro gli spessi occhiali e quei capelli raccolti in quella coda orribile mettevano in risalto i lineamenti dell'età avanzata.

Posai gli avambracci sulle ginocchia, ignorandola, mentre aspiravo avidamente. Lei mi guardò indignata, sapendo che con me era inutile discutere. Da quando ero arrivato in quella scuola, avevo seminato caos su caos, diventando un caso perso noto a tutti. Ora, visto che nessuno voleva mettersi contro Deacon Pressley, persino i professori facevano finta di non vedere.

Anche se quello stronzo di Landon mi aveva bocciato, lui era l'unico a pensare che potessi avere una possibilità.

«Al diavolo! Che stronzata è?!»

Logan emise un sospiro di frustrazione quando la professoressa impose un esercizio di respirazione, allontanandosi e guadagnandosi uno sguardo severo da parte di Pennys, la quale continuava impassibile il suo discorso sull'importanza del corpo allenato.

Si tirò il cappuccio della felpa sulla testa e lo vidi sedersi vicino a me, ma con una distanza marcata, come se il solo contatto potessi trasmettergli un contagio.

Era passato qualche giorno dal nostro piccolo e acceso scontro di domenica pomeriggio al locale, ed eravamo arrivati a mercoledì, un lasso di tempo che sembrava interminabile per noi, abituati a una connessione più profonda e mai scontrosa.

«Non ti chiederò scusa, se è quello che stai aspettando.» Sbottai, incapace di trattenere la tensione, mentre il mio sguardo si agganciava alla figura di Becky, che seguiva la lezione con un attenzione forzata.

Se ne stava in piedi, braccia conserte, trasmettendo chiaramente la sua irritazione per il discorso inutile della professoressa. Quindi, non ero l'unico a pensarla così.

«Lo so e non me ne frega un cazzo, non é quello che voglio.»

Ci voltammo l'uno verso l'altro, incrociando gli sguardi in un silenzio carico di tensione. Forse, avrei dovuto dargli un pugno sul naso per resettare il suo cervello e togliergli quelli stronzate dalla testa, visto che sembrava averla sepolta sotto terra.

«Voglio solo che tu capisca che questa storia, per me e Cora è una cosa seria, Jace. Quindi, prenditi pure tutto il tempo che ti serve.»

Mi morsi la lingua e tornai a fissare la mia preda. No, non mi andava giù per niente, ma se volevano farlo, 'fanculo, cazzi loro, io avevo solo bisogno del mio migliore amico.

«Ci metterò un po' a digerirla, ma fate come cazzo vi pare.» Gli dissi dopo svariati secondi di silenzio, sperando di non sembrare troppo brusco e senza accennare al fatto che lo stavo dicendo perché avevo bisogno di lui, poi mi voltai ancora a guardarlo. «Ma non venitemi a rompere i coglioni quando vi mollerete.»

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