7. Apodyopsis

1.6K 48 3
                                    

Ti auguro di guarire
da quelle cose che
non racconti a nessuno.

Becky.

Il locale in cui mi trovavo era avvolto dal buio. Le luci rosse, soffuse, mi avvolgevano a ritmo di musica come se pulsassero nell'aria, creando un'atmosfera avvolgente e inquietante. Il suono cupo della melodia forte sembrava sincronizzarsi perfettamente con le ombre, mentre le luci rosse dipingevano silhouette sfuggenti della gente sulle pareti.

Di solito, non avrei mai varcato la soglia di un luogo del genere, ma da quando tutto era ricominciato, ogni scusa era buona per allontanarmi da casa il più possibile.

«Non mi piace il fatto che lui ti piaccia.» Mio fratello mi fissò, in modo disgustato.

Sbattei le palpebre e distolsi lo sguardo da Jace. Era a distanza, seduto a un tavolo poco lontano con i suoi amici, mentre ficcava la lingua in gola ad una ragazza bionda che avevo visto in giro per i corridoi di Harvard. Lei era seduta sulle sue gambe, lui continuava a toccarla, infilare le mani sotto il top, premere sulla sua carne e leccarle la pelle, come se fosse normale fare tutto ciò in pubblico.

«Lui non mi piace.» Gli rifilai, osservandolo portarsi il bicchiere di vodka liscia alla bocca.

«Vuoi davvero mentirmi, sorellina? A me? Proprio a me?» Rise, scuotendo il capo.

Aveva ragione, di tutta la gente al mondo, lui era l'unico a cui non avrei mai potuto mentire.

Mi morsi le labbra, tanto da sentire il sapore del sangue propagarsi sulla lingua e tornai inevitabilmente con gli occhi su di lui, nello stesso istante in cui i suoi pozzi neri e profondi di scagliavano su di me.

Alzò un angolo della bocca come se mi stesse per provocare, e la sua mano scivolò in mezzo alle cosce della ragazza, che gettò la testa indietro ed emise un gemito che attirò l'attenzione di qualcuno.

Mi fissava, mentre la toccava, ed io non capivo se mi stessi eccitando o mi stessi infuriando.

L'unica cosa di cui ero certa, mentre il respiro incontrollato mi batteva nel petto, era che stavo odiando lei perché desideravo ardentemente prendere il suo posto.

«Jace è pericoloso, gioca con le ragazze come se fossero le sue marionette.» Mi ronzò Ryan accanto. «Lui é il male, e non voglio che faccia con te quello che fa con tutte.»

«Non lo farà.» Lo rassicurai. «Non mi farà del male, non può toccarmi, lo sai. Nessuno può farlo.»

Ryan serrò le labbra, delineando perfettamente la linea della mascella scalfita da un'improvvisa rabbia, strinse il bicchiere di vetro tra le mani, tanto da sbiancare le nocche e sembrare quasi che volesse spaccarlo.

«Non serve che ti tocchi per farti del male, Becky.»

Mi paralizzai, quando un brivido mi attraversò la spina dorsale.

Aveva ragione. Jace, aveva un'incidenza surreale sulla mia anima, oltrepassando il semplice contatto fisico. Il suo sguardo penetrante e le sue parole profonde riuscivano a scavare nelle profondità delle mie emozioni, creandomi un caos incontrollato dentro. Era in grado di permeare la mia mente con le sue parole, toccando una parte di me che nessun altro aveva mai raggiunto.

SonderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora