18. Pathei mathos

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I sentimenti li controlli
solo se non li hai.

Jace.

Il tonfo di una bottiglia si schiantò ai miei piedi, facendo frantumare il vetro in mille pezzi. Abbassai gli occhi, confuso, e notai l'etichetta nera del Jack Daniel's che avevo dimenticato in camera di Becky la notte prima. Richiusi in uno scatto lo sportello della mia macchina sul quale stavo salendo per uscire di casa, e alzai il mento.

A breve distanza, Evans mi scrutava con uno sguardo assassino venendomi incontro, i suoi occhi ardenti mi stavano minacciando, come se stesse progettando di decapitarmi nell'istante successivo.

Con un impeto repentino, si scagliò su di me, afferrandomi per il colletto della giacca di pelle e schiacciandomi contro la macchina, il suono cupo di metallo che vibrò riempii l'aria, mentre la vettura gemette sotto la pressione del mio corpo.

«Che cosa ti avevo detto, Pressley?» Mi ringhiò in faccia.

Gli angoli delle mie labbra si sollevarono, la lingua sfiorò il palato, e con un gesto deciso lo respinsi con forza.

«Qualsiasi cosa tu abbia detto, non prendo ordini da nessuno.» Sistemai il giubbotto sulle spalle, sbuffando l'aria pesante fuori dai polmoni attraverso le narici.

«Non voglio più ripetertelo, ragazzino.» Mi puntò un dito contro e mi venne ancora vicino. «Non ti avvicinare più a mia figlia.»

Esitai qualche secondo, sfregai le labbra tra loro, cercando freneticamente nella mia mente un modo per abbatterlo all'istante.

«E se fosse lei a voler stare vicino a me?» Incalzai, provocandolo.

«Lei?» Rise, tirando le spalle indietro, come se avessi appena detto la più grande stronzata del secolo. «Becky non ti toccherebbe mai, so per certo che sei tu a stargli incollato e so anche il perché.»

Sentii un improvviso brivido di rabbia scorrermi dentro, la mia testa ritornava a quella notte, tagliente.

«Becky ha paura delle persone, del contatto fisico, lo odia, le crea ansia.» Mi spiegò, come se già non lo sapessi.

Tuttavia, per lui sembrava più una cosa positiva che una condanna per sua figlia, come se ne fosse persino felice.

Il respiro mi accelerò in gola, ma lottai per mantenere la calma, evitando di far trapelare il mio nervosismo.

«E chi ti dice che non mi abbia già toccato?» Ringhiai, tenendogli testa.

Drizzò le spalle, assottigliò lo sguardo su di me, e le vene del suo collo si gonfiarono, come se fosse preso da un impeto di rabbia. Il suo pugno si scagliò sulla mia bocca, facendomi barcollare. Poi, mi afferrò di nuovo e mi parlò a un soffio dal viso.

«Mettiamola così allora...» Mi fissò intensamente negli occhi, per farmi afferrare meglio il concetto. «Tu avvicinati di nuovo a Becky, e stavolta sarà lei a pagarne le conseguenze, quindi se ti importa davvero qualcosa, per il suo bene farai come ti ho ordinato.»

Sbarrai leggermente gli occhi colpito dalla sua cattiveria, il cuore mi sprofondò nel petto.

«Che cosa vuoi dire?» Digrignai a denti stretti. Che razza di minacciare era?

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