50. Komorebi

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Ho intenzione di amarti,
per tutta la vita.

Jace.

Seduto in quell'orribile corridoio, con i gomiti piantati sulle ginocchia, mi sorreggevo la testa che minacciava di esplodere a breve. Era trascorsa un'ora dall'incidente, e dopo il suo rifiuto di recarsi in ospedale, convinta di star bene, le autorità intervenute avevano costretto Becky a raggiungere la centrale per chiarire le dinamiche dell'incidente. La tensione nell'aria era maledettamente soffocante mentre aspettavo il resoconto delle autorità, e il mio cuore batteva all'impazzata nel petto, pregando che tutto si risolvesse nel migliore dei modi.

«Tesoro!» Da lontano, la voce tremante di mia madre si mescolava al ticchettio fastidioso dei suoi tacchi che rimbombavano nel corridoio silenzioso.

Con uno scatto degli occhi, mi alzai in piedi e lanciai prima uno sguardo verso di lei, poi fissai Deacon alle sue spalle, prima che mi avvolgesse in un abbraccio protettivo; mi toccò le spalle, il petto, il viso, come se volesse assicurarsi che stessi bene.

«Smettila mamma, cazzo!» Sbottai scostandomi, infastidito. «Non sono io ad aver avuto un incidente.»

Mia madre si tirò indietro stizzita e sospirò, passandosi una mano sul volto per restare in silenzio.

«Dov'é Becky?» Deacon scrutò i movimenti intorno a noi, mentre sentivo la tensione crescere in modo incontrollato.

«É lì dentro.» Gli indicai una porta. «Da quasi mezz'ora, perché cazzo la stanno interrogando?»

«É la prassi, Jace. C'é un morto di mezzo.»

Ingoiai il groppo nervoso che improvvisamente mi si formò in gola, cercando di nascondere l'ansia che mi stava stringendo lo stomaco. Deacon mi osservò attentamente e aggrottò le sopracciglia, cogliendo immediatamente il mio stato d'animo. La sua espressione severa mi fece capire che aveva compreso che c'era qualcosa che stavo omettendo, e che non sarebbe stato facile evitare.

«C'é qualcosa che devo sapere?» Si avvicinò a me afferrandomi per un braccio, guardandomi dritto negli occhi.

Serrai la mascella, sentendo la tensione crescere mentre mi sfioravo il viso con una mano tremante. Avrei potuto nascondergli la verità, ma era come se qualcosa dentro di me mi impedisse di farlo. Desideravo fidarmi di lui, sapevo che avevamo bisogno del suo aiuto visto che non sapevo come si sarebbero susseguiti gli eventi, e mentendo non avremmo ottenuto nulla se non ulteriori complicazioni. Così, con un respiro profondo, decisi di affrontare la situazione con onestà, consapevole delle conseguenze che ne sarebbero derivate.

Aspettai una manciata di secondi che il corridoio si liberasse da alcuni poliziotti e mi avvicinai di più a lui, spalla a spalla, in modo che nessuno potesse sentirci.

«É stata Becky a provocare l'incidente, l'ha fatto di proposito.»

Deacon sbarrò gli occhi, visibilmente colto alla sprovvista, e sembrò paralizzato per qualche istante, come se dovesse elaborare quello che aveva sentito, incredulo e perplesso. Mia madre, che aveva sentito, portò istintivamente una mano tremante alla bocca, sconvolta.

«Cazzo!» Imprecò, alzando la voce e passandosi una mano sugli occhi. «Perché é andata con lei? Perché l'ha fatto? Le avevo detto di non starla a sentire, che avrei risolto la situazione in un modo o nell'altro, non doveva arrivare a tanto.»

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