31. Laotong

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Non esistono coincidenze
tutto accade per un motivo.

Becky.

La sua mano si posò sulla mia con fermezza mentre ci spingevamo oltre la scogliera. Le punte delle mie scarpe di vernice bianca sfiorarono il vuoto, il fragore del mare agitato e le alte onde suscitavano in me una sensazione di timore, tanto da farmi tremare.

«É troppo alto.» Con un singulto, accarezzai con dolcezza la ciocca scivolata dal fiocco rosa, posizionandola dietro l'orecchio.

«É sabbia, non ti farai male, promesso, ci sono io.»

Il suo abbraccio rassicurante stringeva la mia mano con forza, infondendomi coraggio. Da quando era entrato nella mia vita, mi faceva sentire al sicuro. La sua presenza era un rifugio, l'unico che ascoltava la mia musica, con cui giocavo senza giudizi e al quale potevo confessare le lacrime causate dalle azioni di papà.

Non volevo che mi lasciasse, mai più. Da quando mamma aveva iscritto Ryan in quella scuola, mi sentivo sola, visto che passava tutto il giorno in quel posto.

«Ok, mi fido di te.» Arrossii, osservando i suoi occhi neri e sfuggenti sotto il ciuffo lungo.

«Al mio tre.» Prese un respiro e mi spinse in avanti, trascinandomi con lui. «Uno, due, tre.»

Un balzo nell'ignoto, un sussurro di eccitazione. Ora, finalmente, mi sentivo libera.

Con occhi sbarrati, mi alzai di scatto, il respiro breve in gola. Tremavo, ogni parte del corpo agitata in modo incontrollato come se non riuscissi nemmeno a ricordare chi fossi.

«Honey?» La voce di Jace mi arrivò ovatta alle orecchio, un eco lontano e sordo.

Mi prese il viso tra le mani calde, mi guardò dritta negli occhi, quegli occhi neri di cui mi fidavo.

«Che succede?» Incalzò ancora, scrutandomi confuso, quando capii che non riuscivo nemmeno a parlare.

«Io...»

La gola secca mi prudeva, il caos nella testa. Una sensazione di nausea mi assaliva, incapace di capire come riconnettermi alla realtà.

«Ho fatto un sogno, ma non era un sogno, era un ricordo, credo.» Farfugliai in modo scoordinato.

Mi tirai indietro, e mi alzai. Mi portai le mani tra i capelli, mi doleva la testa. Strinsi gli occhi, conficcai le unghia nella carne sperando che qualsiasi cosa fosse svanisse. Cominciai a camminare avanti e indietro, confusa.

Occhi neri, da quando c'era lui mi sentivo al sicuro.

Che diavolo significava?

Lanciai un urlo di frustrazione.

Jace mi afferrò, per tenere ferma la mia agitazione.

«Mi spieghi che ti prende?» Mi costrinse a guardarlo, il suo sguardo trasudava quasi preoccupazione e timore.

Mi allontanai, improvvisamente spaventata da lui, e da quello che stavo elaborando inconsciamente, ma non ero ancora in grado di capire. 

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