41. Agàpe

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Ma é davvero così
che doveva andare?

Becky.

Il terrore mi paralizzava, una coltre fredda che avvolgeva ogni fibra del mio essere e mi toglieva ogni movimento. Il cuore, come un tamburo impazzito, rullava nel petto, come se fosse desideroso di liberarsi dalla gola in un salto suicida.

Non potevo credere a quello che stava succedendo.

Con quel poco di coraggio che mi era rimasto, feci un passo vacillante in avanti verso Jace, cercando di toccarlo. I miei occhi erano inchiodati al sangue che colava dalla ferita, mentre un nodo doloroso si stringeva nello stomaco, una mescolanza di paura e preoccupazione. Ma Brad si avvicinò prima che io potessi afferrarlo e afferrò me per un polso, spingendomi verso di sé.

«Ho detto che devi restare ferma.» Mi ringhiò sulla bocca.

«Non toccarla!» Jace si inclinò verso di noi allungando la mano, ma lui mantenne la sua presa decisa su quella maledetta pistola, puntandola ancora contro di lui e intimando a non fare nemmeno un passo.

L'avrebbe fatto. Brad avrebbe sparato se fosse stato necessario a raggiungere il suo scopo di portarmi via.

«Santo Cielo, Deacon ti prego fa qualcosa, Jace sta sanguinando.» La voce ovattata di Josi mi raggiunse, ma il senso di colpa per quello che stava succedendo mi impedii di posare lo sguardo su di lei.

Brad mi fece voltare e mi circondò la vita con un braccio, stringendomi a sé e provocandomi un senso di disgusto che si diffuse attraverso la pelle, quando il ricordo di quel momento in cui mi aveva toccata mi colpii di nuovo come un pugno allo stomaco.

«Non te l'ha ancora detto, vero?» Il suo fiato carico di alcol mi punse il viso, facendomi venire la nausea, sentivo il suo petto salire e scendere in modo incontrollato contro la mia schiena. «Per questo sei ancora qui, perché continuano a farti vivere nella menzogna e tu sei così ingenua da non capire un cazzo.»

«Sta zitto!» Jace imprecò. «Qualsiasi cosa sta per dirti, non ascoltarlo.»

Sbarrai leggermente gli occhi e li posai su di lui, il quale serrò la mascella e drizzò le spalle. Il suo respiro, carico di rabbia, riecheggiava nell'aria fredda e pungente, mentre con le sue iridi scure mi implorava di fidarmi di lui. Si strinse la mano sulla ferita, aveva la fronte impregnata di sudore e il viso pallido. Stava perdendo troppo sangue, aveva bisogno d'aiuto il prima possibile.

«Che vuoi dire?» La voce mi tremò, ingoiai con prepotenza il groppo in gola e mi morsi l'interno della guancia.

«Jace é mio figlio.»

Cosa diavolo?

Buio. Per un attimo, sembrò come se mi fossi distaccata dalla realtà circostante.

«Ma che assurdità stai dicendo?» Sbottai.

Una risata isterica e amara mi sfuggii involontariamente mentre fissavo Jace, inerme e dagli occhi sbarrati e velati di lacrime, a pochi passi da me. La consapevolezza di tutte le bugie che mi aveva raccontato cominciò a invadere la parte razionale della mia mente, lasciandomi senza fiato.

«Jace?» Incalzai, sperando che parlasse in fretta e negasse tutto, osservandolo dritto negli occhi lucidi. «Che diavolo sta dicendo? É la verità?»

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