39. Ondoliub

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Quante volte una stessa
cosa può spezzarti il cuore?

Becky.

Feci scorrere le dita sull'ultima pagina del libro e mi portai le ginocchia al petto. I miei occhi scorsero tra quelle ultime parole, creandomi un senso di vuoto e nostalgia. Ogni volta, nonostante non vedessi l'ora di vedere come sarebbe andata a finire, ogni finale mi creava un senso di angoscia e nostalgia.

«Non può essere ch'io abbia tanta felicità, dopo tanto dolore. È un sogno; un sogno di quelli che ho fatto spesso, di notte, immaginandomi di stringerla ancora una volta sul mio cuore, come faccio ora; credendo di baciarla e sentendo che mi amava e che non mi avrebbe lasciato mai.»

Sbarrai leggermente le palpebre e sollevai lo sguardo verso la soglia della biblioteca di casa Pressley. I miei occhi scorsero su di lui, appoggiato allo stipite della porta, che mi scrutava da sotto il cappuccio della sua felpa nera, con un piccolo sorriso accennato sulle labbra.

Il mio cuore iniziò a battere freneticamente, il suo profumo si diffuse delicatamente nella stanza, alleggerendo l'atmosfera pesante che mi stava intorno.

Ero confinata in quella casa ormai da tre giorni. Jace era diventato la mia ombra, vigilava su di me, si assicurava che mangiassi e bevessi a sufficienza per sopravvivere. Mi cullava durante la notte cancellando i miei incubi, la sua presenza costante e la sua attenzione stringente erano come un respiro sul collo, e raccoglieva silenziosamente le lacrime che di tanto in tanto sgorgavano senza preavviso.

In silenzio, senza chiedere o pretendere, Jace mi faceva sentire la sua presenza, donandomi un sostegno silente che mi dava la forza di andare avanti.

In un certo senso, stava funzionando, ed io cominciavo ad aver bisogno di lui come l'aria. Ero consapevole che quella sarebbe stata solo una fase, non potevo dipendere per sempre da lui, ma stavo solo raccogliendo il coraggio di fare la prossima mossa.

Col passare del tempo, il dolore si attenuava, anche se non avrei mai dimenticato ciò che era accaduto. Convivere con la situazione e andare avanti però, sembravano essere le uniche opzioni disponibili per il momento.

«Pensavo fossi andato ad Harvard, visto che quando mi sono svegliata non c'eri.» Mi alzai e chiusi il libro Jane Eyre di Charlotte Brontë, appoggiandolo al mio fianco sotto il caldo raggio del sole.

Alzò le spalle con un sospiro.

«No, dovevo fare una cosa. Tornerò a lezione quando deciderai di tornare anche tu.»

Si avvicinò, circondandomi la vita con le braccia, la sua presenza imponente mi fece sentire come sempre al sicuro e l'odore pungente di sigaretta appena fumata mi solleticò le narici.

«Non voglio lasciarti da sola.»

Il cuore mi affondò nello stomaco, sentii un leggero strato di sudore impregnarmi la schiena. Tornare ad Harvard, al momento, era l'ultima cosa al mondo che avevo intenzione di fare.

Evitare la folla e gli sguardi indiscreti era la mia priorità. La ferita al viso era ancora evidente, il sangue all'occhio via via si attenuava, ma temevo di attirare l'attenzione, anche se la realtà poteva essere che la gente se ne fregasse completamente.

«Dovresti almeno parlare con tuo fratello.» Mi ricordò.

Mi morsi con forza il labbro inferiore, arretrai lasciando che la sua presa mi liberasse. Mi voltai verso la finestra, osservando il mare calmo mescolarsi all'orizzonte con il cielo sereno. Ryan non era proprio nella lista delle cose da affrontare, ma in parte aveva ragione. Mio fratello stava sicuramente perdendo la testa, e non potevo permetterglielo, considerando che il mio telefono era staccato ormai da giorni e mi ero nascosta dal mondo.

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