34. Memento mori

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Mi riempi gli spazi vuoti
che ho dentro.

Jace.

Il dondolo oscillava dolcemente sotto un cielo velato di nuvole, il freddo pungente mi accarezzava la pelle generando piacevoli brividi. Il silenzio era interrotto solamente dalle risate di Becky e Cora, le cui voci riecheggiavano poco distanti. Mi piaceva il modo in cui andavano d'accordo; Cora era una bella e buona presenza per Becky.

«Allora? Sei riuscito a capire quello che dovevi capire?» Logan sussurrò nel mio orecchio, gettando uno sguardo furtivo verso le ragazze.

«No.» Ammisi, confuso più che mai.

Avevamo passato la notte a fare l'amore, a nutrirci uno dell'altra e l'unica cosa che avevo capito era che ero certo che di lei non ne avrei mai avuto abbastanza. L'avevo stretta a me, mentre dormiva, l'avevo osservata fino alle primi luci dell'alba, come se fosse un angelo perfetto e senza alcun male. Il mio angelo personale.

Eppure, la mia mente era fissata su quanto desiderassi porre fine a ciò che avevo iniziato. Una parte disturbante e diabolica nella mia mente invadeva costantemente ogni altro pensiero positivo.

«Jace, io credo che-»

«Sta zitto!» Ringhiai, stufo delle sue prediche del cazzo, tirandomi in piedi.

Inspirai lentamente il fumo della mia Winston Blue, mentre il profilo delicato del suo viso catturava la mia attenzione in maniera irrefrenabile. Osservai ogni dettaglio della sua bellezza curata, da ogni linea delicata a ogni sfumatura di espressione.

Lanciai un'occhiata carica di intensità al mio migliore amico, e poi mi diressi verso di lei. Mi avvicinai gradualmente, come se ogni passo fosse calcolato per aumentare la suspense, lei sapeva che mi stavo avvicinando, lo sentiva, lo percepiva. Quando finalmente mi abbandonai contro la sua schiena, fu come se i nostri corpi avessero atteso quel contatto, rispondendo con un'armonia predeterminata e desiderata. Eravamo affamati uno dell'altra.

«Vieni con me.» Le sussurrai all'orecchio, facendola rabbrividire.

Mi allontanai, prendendo la mano di Becky. Ci inoltrammo nel bosco, tra alberi maestosi, mentre una leggera brezza faceva sussurrare le foglie. Becky camminava al mio fianco, stringendo la mia mano e scrutando curiosa l'ambiente circostante.

«Dove stiamo andando?» Lanciò un'occhiata indietro, poi mi osservò.

In silenzio, continuai a camminare per qualche metro, poi mi avvicinai al precipizio roccioso e la trascinai con me.

«Sei impazzito?» Il suo sguardo si dilatò, arretrando leggermente, ma tenne salda la mia mano. «É pericoloso.»

Alzai un angolo della bocca, la attrassi con decisione, posizionandola di fronte a me. Con forza, la costrinsi a guardare giù, dove una distesa di alberi si espandeva sotto di noi.

«E allora?»

Con delicatezza, le spostai i capelli con una mano, mentre con l'altro braccio la mantenevo saldamente vicino circondandole la vita, a pochi centimetri dal precipizio, creando una sensazione di vertigine e eccitazione.

«Hai forse dimenticato che il pericolo é l'unica cosa che mi fa sentire vivo?»

La sua figura divenne rigida, probabilmente richiamando in memoria le lezioni impartite fino a quel momento. Le avevo già insegnato quella parte, adesso toccava ad altro.

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